Un Dovere morale da Statuto
Caro Presidente, cari Consoci, abbiamo fondato ADSeT ancorandoci fondamentalmente all’articolo 4 dello Statuto, che ne disciplina la motivazione ad esistere: “Lo spirito e la prassi dell’Associazione trovano origine nel rispetto dei principi della Costituzione Italiana che ispirano l’Associazione stessa e si fondano sul pieno rispetto della dimensione umana, culturale e spirituale della persona.”
Faccio qui appello, poiché identica sensibilità so che non si riscontra nella prassi burocratica con la quale il personale Educatore – sottolineo educatore – viene posto in quiescenza, laddove un – il più delle volte sdrucito – foglio di carta immesso in una busta gialla di servizio informa il destinatario, ormai inutile, che l’amministrazione non ha più alcuna utilità a servirsi dei suoi cattivi o buoni servigi che siano stati, e di cui nessuno ha notizia, e che ciò è irrevocabilmente dovuto all’esser pervenuti alla pensione di vecchiaia!
Il garbo del tutto è di per sé sotto gli occhi (intelligentibus pauca), e non merita commento alcuno, non foss’altro per quel ‘vecchiaia’ che offende chi ancora sa di avere motivazione ed energia a dare se stesso alla società e per quell’amarezza mortificante nel paragone con altre amministrazioni, vedi la militare, dove un titolo di cavaliere è il minimo di cui si goda alla quiescenza, ovvero – immediatamente prima – la promozione al grado di generale! Ma tant’è e non starò qui a pietire la diversa imputazione del fine rapporto al più rispettoso “raggiungimento del limite d’età”, anziché vecchiaia: ai pesci in faccia come educatori siamo stati sottoposti carriera durante!
Ed allora non sto qui a piangermi addosso sull’ultima delle mortificazioni (de minimis non curat praetor): sono i nostri alunni ed il nostro personale a gratificarci – nel rivederci – colmandoci di ciò di cui l’amministrazione non è capace di concepire ; a mia volta invece, appellandomi alla nostra richiamata motivazione ad esistere come ADSeT, Vi chiedo di attribuire con voce stentorea ad un Collega di primordine professionale ed educativo, Caduto anzi tempo in servizio, quell’encomio solenne alla carriera, alla professionalità, alla capacità educativa, alla esemplarità di padre che certamente l’amministrazione non gli attribuirà: figurarsi non ha raggiunto neanche la “vecchiaia”!
Alludo al collega, professor Lillo Freni, deceduto a 51 anni giovedì scorso (11.02), mentre, disponibile come sempre verso la scuola, insieme all’avvicendatosi preside dell’ITES Jaci, prof. Alfio Borzì, si recava a rendere un servizio alla sua amata scuola, ma rimaneva fulminato da un infarto stroncante.
Di Lillo Freni do personale testimonianza che si è trattato davvero di un signor professore, brillante per iter di carriera, professionalità, capacità educativa, ed esemplarità di padre, di marito e di figlio: durante la mia presidenza me lo sono trovato a fianco mille volte, generosamente, allo stesso modo di come lo avevano avuto prontamente disponibile i colleghi che mi avevano preceduto, e né più né meno di come con piena prontezza di illuminato linguaggio lo ha definito il collega Alfio Borzì nel corso del Suo funerale in quel Duomo di Messina traboccante di presenze, di lacrime e di eloquente silenzio .
Tutto ciò premesso, da parte mia mi permetto di suggerire al Direttivo, alla luce del nostro detto assunto statutario, di dedicare al Collega deceduto un momento di commemorazione, ed ancor più di riservare alla collega prof. Carmen De Lea, Sua ammirevole e degna consorte l’iscrizione ad ADSeT quale socia onoraria in rispetto della memoria del compianto Lillo Freni, Caduto in servizio anche se non per causa di servizio.
E mi va di chiudere in rifiuto di ogni retorica da condoglianze con le parole di un poeta:
“Il prodigio di questa grande partenza celeste che si chiama morte, è che quelli che partono non si allontanano. Sono in un mondo di chiarezza, ma assistono, testimoni inteneriti al nostro mondo. La bellezza della morte, è la presenza. Presenza inesprimibile degli esseri amati, sorridente ai nostri occhi in lacrime. I morti sono gli invisibili, ma non gli assenti.” (Victor Hugo)