Un’affascinante immersione nella Sicilia archeologica
Si fa capolino nel saggio di Sebastiano Tusa (“ Sicilia Archeologica”2015 Scicli Edizioni di Storia e Studi Sociali pag 313) con l’atteggiamento reverenziale di chi ama l’archeologia ma ne conosce anche le asperità.
Fin dalla premessa ci si rende conto che l’Autore il cui curriculum è di tutto rispetto, vuol dare all’opera un taglio più divulgativo e meno accademico, ritenendo che la cultura debba essere patrimonio di tutti e non solo degli iniziati. L’opera si compone di nove saggi , già pubblicati, che hanno un unico filo conduttore, pur nella diversità degli argomenti, quello di rintracciare nel sincretismo antropologico quell’elemento identitario che fa della Sicilia non un’isola ma un arcipelago di culture,religioni, popoli e tradizioni.
Il primo saggio di taglio autobiografico rievoca la figura di Vincenzo Tusa, archeologo di chiara fama, che guida il piccolo Sebastiano sui sentieri di Pantelleria, alla ricerca del “Sese del re”, un monumento funerario megalitico di epoca preistorica. Bella la foto del piccolo che stringe la mano del padre, quasi in una sorta di passaggio di consegne tra i due che si realizzerà nell’impegno di Sebastiano nel riesumare le tracce del passato perché “ l’intelligenza del presente risiede nella conoscenza del passato”( Bianchi Bandinelli). Nei saggi successivi l’autore ,attraverso le sue ricerche sulla terraferma e le ricognizioni nei fondali sottomarini, tende a dimostrare che l’isola è da considerarsi un ponte di passaggio culturale non solo dall’Africa ma anche dalle coste egee, dai Balcani, dall’Asia Minore, dalla penisola italiana , dall’Europa e viceversa.
Galleggiante nel cuore del Mediterraneo che come dice H. Pirenne, è oggetto e soggetto della storia , essa ne assorbe la vita e ne è assorbita. In questo mare si mescolano sostrati e parastrati della storia, lasciando molte tracce che sono tesori umani , storie, idee, segni materiali decodificati dall’archeologia.
Tra il mesolitico e il neolitico, la Sicilia presenta pianure costiere con fitta vegetazione a boscaglia alternata dove scorazzano cervi, cinghiali, cavalli selvatici. Successivamente la risalita del livello del mare avvicina le grotte e limita l’estensione delle pianure costiere e proprio i graffiti, incisi nelle Grotte, offrono un ‘interessante e documentata lettura di usi ,costumi e riti dei popoli autoctoni ,frammisti con elementi assimilati da culture esterne ma ormai radicate in “loco”. Il drenaggio delle risorse marine favorisce l’impianto del sistema agro-pastorale ,relegando il mare in posizione marginale come risorsa ma in grande rilevanza come veicolo di collegamento per smerciare il surplus accumulato.
Più tardi, nell’eneolitico, dopo un’iniziale contrazione commerciale per incapacità di adeguare la gestione socio-politica con le nuove possibilità produttive, riprende il commercio marittimo. Il “Bicchiere Campaniforme” che, attraverso la Sardegna dalle zone dell’Europa centro settentrionale, si ritrova nella Sicilia occidentale, ne è una prova. Così come lo sono gli idoletti a “bottiglia” e “a violino”ritrovati a Camaro (Me) , simili a quelli di provenienza egea ma realizzati in schisto locale ,a dimostrazione che i collegamenti tra le due sponde del Mediterraneo si basavano non sullo scambio commerciale ma sull’ integrazione culturale. Dal mare arriva anche il “megalitismo” europeo filtrato di elementi dal forte carattere ideologico-religioso. Nella piena età del ferro, in Sicilia appaiono tre etnie fondamentali :Elimi ad occidente, Sikani nella parte centro-meridionale, Siculi-Ausoni- Morganti nella zona orientale, in continuo contatto con popolazioni egee, levantine e fenicie.
La dicotomia tra costa e interno dimostra il sorgere di una contrapposizione etnica che si nominalizzerà nel contrasto sicano-siculo e che perdurerà fino alla tardiva acculturazione greca. La pressante presenza dei Greci sulla parte orientale dell’isola con la forte colonizzazione siracusana tende al controllo capillare e pesante del territorio siculo, diversamente nella Sicilia occidentale si assiste al perdurare, senza sovrapporsi, di tre entità diverse dal punto di vista etnico,politico e militare: i Fenici e i Greci della costa e gli Elimi dell’interno.
La popolazione indigena ,invece, di tradizione sicana, rinvigorita dall’apporto elimo, non si piegherà alle armi dei Greci, pur accogliendone la cultura e diventerà consorella di Roma, legata dal mito dell’origine troiana comune. Oggi è ancora visibile lo iato tra l’acculturazione greca della parte orientale e il permanere delle tradizioni indigene in quella occidentale che ,in difesa della propria autonomia, è capace di far ricorso, anche, a forme illegali di partecipazione auto-organizzate ,quali la mafia.
Ci si chiede se non nascano proprio da ciò l’indifferenza e lo scetticismo di fronte al cambiamento che caratterizzano questa terra di Gattopardi.