“Quer pasticciaccio brutto di Alkamar”
Cercare di districare un groviglio di fatti contrastanti, complessi, enigmatici è stato l’arduo compito dei numerosi magistrati che, per trentasei anni, hanno vagliato le carte dei processi (ben nove) intentati contro un innocente. Il giornalista, Nicola Biondo, insieme con l’imputato, Giuseppe Gulotta, hanno ricostruito la drammatica vicenda (“ALKAMAR- La mia vita in carcere da innocente” 2013 Milano, ChiareLettere Editore) scrivendo un dossier a due voci: una quella di Giuseppe che documenta la nudità dei fatti, l’altra quella di Nicola che fa emergere le sofisticherie e gli intrighi del potere.
Un altro grande giornalista e scrittore Vincenzo Consolo, di fronte al guazzabuglio della giustizia , nell’intricato caso del mostro di Marsala, riferiva le parole del grande “illuminista” Giangiacomo Ciacco Montalto: “Nel contesto giuridico verità e realtà devono sempre coincidere”. Alcamo la saracena, splendido esempio di barocco siciliano, è negli anni ’70, una zona di confine, una sorta di Far West in cui lo stato è latitante, sostituito dalle famiglie mafiose che gestiscono l’oro proveniente dal traffico di droga e dalla fabbrica dei sequestri. Giuseppe appartiene a un mondo subalterno, quello dei poveri diavoli che vivono di umile lavoro e di sacrifici quotidiani.
Alle 8,00 del 27 Gennaio 1976, ad Alkamar (nome in codice della caserma dei carabinieri di Alcamo Marina) si rinvengono i cadaveri dei due militari di stanza, trivellati di proiettili mentre intorno regna il caos. L’azione è rivendicata dal NAS (Nucleo Armato Siciliano), espressione del frastagliato panorama della lotta armata. Occorre tacitare l’opinione pubblica, bisogna trovare i colpevoli; viene arrestato Giuseppe Vesco, un giovane dai trascorsi poco chiari che,sottoposto a un durissimo interrogatorio, fa il nome dei suoi “complici”.Quando , il 12 Febbraio del 1976, i carabinieri bussano alla porta di casa ,il muratore Giuseppe Gulotta ha diciotto anni e una speranza: diventare finanziere.
Il lettore accompagna un Giuseppe ,sempre più frastornato, nelle stanze della tortura, nelle celle fetide , nei corridoi tetri; lo vede, stremato, attestare la sua colpevolezza con mano tremante: duplice omicidio. Gli anni di carcere fanno maturare in lui una salda determinazione: la volontà di non arrendersi e di dimostrare la nitidezza della sua coscienza. E’ forte come gli uomini della sua terra, ha un codice d’onore da rispettare, è in lui una dignità che lo sostiene e gli impedisce facili cadute. Nella terra dell’inganno che è la Sicilia di quegli anni oscuri, la verità “cruda, affascinante, pericolosa si può cogliere solo ai confini dove le divise degli eserciti- mafia,stato,brigatisti e neofascisti,buoni e cattivi- non si riconoscono più”.
Le esecuzioni di Peppino Impastato, di Mario Francese, di Mauro de Mauro propongono la visione di un deserto dei Tartari ,dove le azioni umane obbediscono a logiche diverse e imprevedibili. Solo molto più tardi ,però cambierà il corso della via di Gulotta, bisognerà arrivare al 2007, alla trasmissione( Blu Notte ) di C. Lucarelli, all’”errore” di Nicola Biondo, alle dichiarazioni del misterioso Saddik 74 su internet. A dichiarare l’innocenza per un innocente, non l’innocenza per un colpevole, saranno tre donne “illuminate”, giudici della corte d’appello di Reggio Calabria :”Assolto per non aver commesso il fatto”.
E’ la sera del 12 Febbraio del 2012.