Leucocoprinus fragilissimus

Raro ritrovamento boschivo sui Monti Peloritani

di Angelo Miceli & Carmelo Di Vincenzo

Articolo pubblicato su RdM (Rivista di Micologia), 2022: 65 (3): 87-94

Premessa

Abbiamo avuto modo, in precedenti nostri contributi micologici, di evidenziare come, da diversi anni ormai a questa parte, si stia assistendo alla trasmigrazione di varie specie fungine dalle aree tropicali di origine verso le regioni del mediterraneo dove sembra abbiano trovato una situazione ambientale ideale alla loro fruttificazione e diffusione. Ricordiamo, tra i nostri precedenti ritrovamenti, a mero titolo indicativo, Amylosporus campbellii (Berk.) Ryvarden (1977) [Cfr. Miceli et al., 2020] Inonotus rickii (Pat.) D.A. Reid (1957) [Miceli & Di Vincenzo in fase di pubblicazione]; ritrovamenti, questi, che uniti ai numerosi altri di varie specie fungine segnalati dagli studiosi di micologia, lasciano facilmente dedurre come le specie tropicali si stiano facilmente acclimatando alle nostre latitudini costituendo un fattore di notevole importanza che si pone quale indicatore dell’attuale processo di mutazione climatica che, ormai da diversi anni, caratterizza le regioni del mediterraneo sempre più vicine alle caratteristiche climatiche delle zone tropicali e subtropicali [Miceli et al., 2020].

In merito, ancora una volta, la complessa biodiversità del territorio boschivo dei Monti Peloritani ci offre un ulteriore ed interessante ritrovamento di specie fungina originaria, come le precedenti sopra citate, da aree tropicali che, verosimilmente, sembra abbia raggiunto i nostri territori con le piante importate da quelle regioni e che generalmente, anche se in maniera sporadica, viene ritrovata nelle serre o nei vasi da fiori e solo in rarissimi casi in ambiente boschivo. Stiamo parlando di Leucocoprinus fragilissimus basidiomicete di piccole dimensioni, caratterizzato dalla particolare fragilità della sua struttura che torna a fruttificare, contrariamente alle sue abitudini ecologiche che alle nostre latitudini lo vedono essenzialmente legato a colture in serra, nel Bosco della Candelara, sui Monti Peloritani, nel Comune di Messina, costituendo,  da quanto ci è stato possibile rilevare dalla nostra ricerca bibliografica, il secondo ritrovamento boschivo della Sicilia e uno dei rarissimi ritrovamenti documentati in Italia ed in Europa. 

Materiali e metodi

Le descrizioni macroscopiche sono state effettuate dopo attenta osservazione dei caratteri morfocromatici di un solo esemplare allo stato fresco, integrate, dopo il dovuto riscontro delle nostre deduzioni, con quanto rilevato in letteratura che rispecchia fedelmente le nostre conclusioni. Le fotografie sono state realizzate utilizzando fotocamera Canon EOS 4000D, obiettivo EF-S 70-300 mm e EF-S 60 mm macro.

Le osservazioni micromorfologiche, purtroppo non approfondite per la difficoltà a maneggiare l’unico basidioma a nostra disposizione che ad ogni minimo tocco o leggera pressione si sgretolava tra le dita, effettuate con l’utilizzo di microscopio Bresser trinoculare con fotocamera Canon EOS 1200 D, si basano sullo studio di materiale fresco con acqua e rosso Congo. Le basidiospore sono state osservate in acqua distillata con l’aggiunta di tracce di rosso Congo anionico. Per la valutazione del campo dimensionale sono state misurate 23 basidiospore. Anche le deduzioni scaturenti dall’esame microscopico hanno trovato diretto riscontro con quanto riportato in letteratura, consentendo la corretta determinazione del carpoforo quale Leucocoprinus fragilissimus.

I Monti Peloritani – tratto da Miceli (2019: 27-33)

(in dialetto messinese “I Coddi”, ovvero “I Colli” – termine con il quale si è soliti indicare solo la zona sovrastante la città di Messina) sono una catena montuosa della Sicilia nord-orientale che si estende per circa 65 Km tra i comuni dell’area metropolitana della città di Messina.

Hanno origine da Capo Peloro (estrema punta nordorientale della Sicilia, nella città di Messina), quale continuazione dell’Appennino Calabro. Geograficamente si delineano in “Peloritani orientali” che occupano la zona sovrastante la città di Messina estendendosi nel versante tirrenico, a nord, nei comuni di Villafranca Tirrena, Saponara Rometta, Monforte S. Giorgio, San Pier Niceto, Gualtieri Sicaminò Spadafora, Venetico Roccavaldina e Valdina; e sul versante ionico, verso sud, fino alla vallata dell’Alcantara dove si interrompono in maniera degradante nei territori di Motta Camastra e di Francavilla di Sicilia, assumendo la denominazione di “Peloritani occidentali”; mentre, nel versante nord, quello prospiciente il Mare Tirreno, si estendono fino al torrente Mazzarrà con la denominazione di “Peloritani centrali” [Lombardo et al., 2017]. Nello stesso versante, solo dal punto di vista geologico, si estendono fino alle “Rocche del Castro” nei comuni di Longi, San Marco d’Alunzio ed Alcara li Fusi.

Il nucleo montuoso presenta una tipica morfologia strutturale caratterizzata da pochi altopiani posizionati ad altezza non elevata, intervallati da una serie di fiumare, picchi e crinali con creste taglienti e piani scoscesi che danno origine ad un sistema fluviale a carattere torrentizio costituito da numerosi torrenti che vanno a sfociare nei due mari limitrofi: Ionio ad est, Tirreno a nord. 

Le vette più elevate sono rappresentate da Monte Dinnammare (1.127 m s.l.m., nel territorio comunale della città di Messina); Montagna Grande (1.374 m s.l.m., nel comune di Motta Camastra); Pizzo Vernà (1.287 m s.l.m., tra i comuni di Castroreale, Antillo e Casalvecchio Siculo); Monte Poverello (1.279 m s.l.m., tra il territorio del comune di San Pier Niceto e Fiumedinisi), Rocca Novara (1340 m s.l.m tra il comune di Novara Sicilia e Fondachelli Fantina), Monte Scuderi (1279 m s.l.m. tra Messina, Itala, Alì e Fiumedinisi) [Lombardo e altri, 2017].

La vegetazione originaria è stata nel tempo quasi completamente distrutta dalla mano dell’uomo e dai ricorrenti incendi, spesso di natura dolosa, e sostituita con rimboschimenti artificiali favoriti nel loro sviluppo dalla diversità climatica dei due versanti che ospitano le tipiche colture dell’area mediterranea costituite prevalentemente da meravigliose pinete di Pino domestico (Pinus pinea), Pino marittimo (Pinus pinaster) e da numerosi boschi di Castagno (Castanea sativa), e di Querce (Q. ilex, Q. suber, Quercus del gruppo pubescens, quali, ad esempio, Q. virginiana, Q. gussonei, Q. petraea, ed altre), insistenti sul tipico sottobosco della macchia mediterranea con predominanza di Erica arboreaCistus sp. pl., Corbezzolo (Arbutus unedo), Ginestra odorosa (Spartium junceum), Salicone (Salix caprea), Ginestra spinosa (Calicotome villosa) ed altre.

In particolare, i Peloritani orientali, nell’areale che contorna la città di Messina, sono stati interessati da un massiccio intervento di imboschimento resosi necessario, a far data dall’ultimo decennio del 1800, per la tutela dal rischio del dissesto idrogeologico della città di Messina e dei comuni limitrofi da sempre colpiti da luttuosi eventi alluvionali, ultimi in ordine di tempo quello di Giampilieri nel 2009 e Saponara nel 2011. Le difficili condizioni dell’area da imboschire hanno suggerito di utilizzare essenze di conifere, in particolare Pino domestico, quale “pianta pioniera” che nel tempo ha creato le idonee condizioni ambientali per l’insediamento delle specie indigene (latifoglie autoctone: Q. ilex, Q. suber, Q. gruppo pubescens, ecc.) [Miceli, 2019].

Il territorio del demanio Candelara è situato sul versante Nord dei Peloritani Orientali, nel bacino montano “Tarantonio”, si estende per circa 300 ettari con esposizione verso nord declinando dolcemente verso il versante tirrenico del territorio metropolitano della città di Messina. Analogamente ai vari bacini montani dell’intero comprensorio è stato interessato da un massiccio intervento di coniferamento che nel tempo ha portato alla graduale trasformazione dell’originario bosco puro di conifere nell’attuale, meraviglioso e straordinario bosco misto (Conifere e Latifoglie).

Genere Leucocoprinus Pat., J. Bot., Paris 2: 16 (1888)

Nel Genere, la cui specie tipo è Leucocoprinus cepistipes (Sowerby) Pat. (1889), sono ospitati basidiomiceti di piccole-medio dimensioni, fragili, gracili e poco carnosi, simili, tanto nella conformazione morfologico-strutturale quanto nei caratteri microscopici (eccezione fatta per la colorazione delle spore), ai carpofori appartenenti al Genere Coprinus Pers. (1797) [La Chiusa, 2013]. Tutte le specie sono caratterizzate da nutrizione saprotrofica con crescita terricola o lignicola, raramente rinvenibili in natura specialmente nelle nostre regioni [Candusso et al., 1990], fruttificano tra foglie e residui legnosi in fase di decomposizione, su legno marcescente o, per alcune specie, quasi esclusivamente nelle serre o nel terriccio di vasi ospitanti colture esotiche [La Chiusa, 2013]. Nessuna delle specie appartenenti al Genere presenta interesse alimentare [Candusso et al., 1990] e tutte devono essere considerate non commestibili tanto per la inconsistente struttura della carne, quanto per l’appartenenza al gruppo dei funghi lepiotoidi che vengono considerati potenzialmente tossici [La Chiusa, 2013]. Presentano i seguenti caratteri distintivi: cappello con margine sempre striato-plissettato in senso radiale, spesso ricoperto da leggera pruina fioccosa; lamelle mediamente spaziate, libere al gambo e spesso confluenti in un collarium, sottili, molto fragili; gambo centrale, cilindrico, svasato alla base, facilmente separabile, privo di volva, con anello ben distinto; sporata bianco-biancastra, bianco-crema, bianco-rosata; spore lisce, ialine, destrinoidi, ellissoidali, a parete spessa, con o senza poro germinativo evidente; basidi tozzi, tetrasporici, clavati o piriformi; giunti a fibbia assenti. 

Leucocoprinus fragilissimus (Ravenel ex Berk. & M.A. Curtis) Pat.

Essai Tax. Hyménomyc. (Lons-le-Saunier): 171 (1900)

Basionimo: Hiatula fragilissima Ravenel ex Berk. & M.A. Curtis 

Ann. Mag. nat. Hist., Ser. 2 12: 422 (1853)

Etimologia: Leucocoprinus, dal greco leucòs, bianco e da Coprinus ovvero Coprinus con le spore bianche, con espresso riferimento alla similarità morfologica con le specie fungine appartenenti al Genere Coprinus dalle quali differisce, essenzialmente, per il colore bianco-biancastro delle spore. Fragilissimus dal latino fragilis = fragile con espresso riferimento alla particolare fragilità della sua struttura.

Posizione sistematica: 

Divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Leucocoprinus

Principali sinonimi: Agaricus flammula Alb. & Schwein. (1805); Agaricus licmophorus Berk. & Broome (1871); Lepiota flammula (Alb. & Schwein.) Gillet, (1874); Lepiota licmophora (Berk. & Broome) Sacc. (1887); Mastocephalus licmophorus (Berk. & Broome) Kuntze (1891);  Lepiota fragilissima (Ravenel ex Berk. & M.A. Curtis) Morgan (1907); Hiatula licmophora (Berk. & Broome) Petch (1910); Leucocoprinus licmophorus (Berk. & Broome) Pat. (1913).

Descrizione macroscopica

Basidiomi di piccola taglia caratterizzati dall’estrema fragilità e dalla particolare, rara ed accattivante bellezza. Cappello giallino con zona discale giallo intenso-brunastro. Gambo lungo e sottile. Crescita saprotrofica in serre o vasi da fiori, raramente in ambiente boschivo.

Cappello di piccole dimensioni, circa 2-4 cm, inizialmente cilindrico poi, verso la maturazione, conico-campanulato ed infine disteso, a forma quasi perfettamente circolare, forforaceo, sqamuloso, di colore bianco-biancastro su sfondo turchese con evidenti solcature, striature di colore giallo chiaro che si dipartono, in forma radiale, dal centro della zona discale che si presenta leggermente umbonata e di colore giallo intenso, per estendersi fino al margine che evidenzia un andamento ondulato. A maturità perde le caratteristiche sfumature giallastre per divenire, con eccezione per il disco centrale, bianco-biancastro. Nell’insieme assume la configurazione di una struttura plissettata.

Imenoforo a lamelle leggermente ventricose, bianche con sfumature gialline, libere al gambo, mediamente spaziate ed intervallate da lamellule di differente lunghezza, filo intero.

Gambo centrale, slanciato, cilindrico e leggermente allargato alla base dove assume aspetto leggermente bulboso, cavo, molto fragile, giallo chiaro con presenza di squamette detersili e concolori; dimensioni 5–10 x 0,2-0,3 cm. 

Anello evanescente, molto piccolo, mobile, membranoso, posizionato nel terzo medio inferiore del gambo, colore grigio-giallastro, giallo-verdognolo.

Carne fragilissima (si sfalda al minimo tocco tanto che risulta molto difficile la raccolta dei carpofori e la loro manipolazione a fini di studio), giallo chiaro; odore nullo; sapore non apprezzato. Secondo alcuni autori molto amaro [Cfr. Candusso et al., 1990: 483, con riferimento a Heinemann].

Descrizione microscopica

Nel ribadire il concetto precedentemente espresso [Cfr. paragrafo “Materiali e metodi”]

evidenziamo, ancora una volta, la nostra materiale impossibilità ad effettuare un esame microscopico approfondito causa la raccolta di un solo esemplare che, per la sua particolare fragilità strutturale, disgregandosi al minimo tocco, ci ha consentito di rilevare solo i caratteri di seguito riportati, integrati, per completezza descrittiva, con quanto rilevato dalla letteratura consultata e da noi indicata.

Spore: (9,7) 10,1–11,8 (12,4) x (6,3) 6,6-8.2 (8,4); Me = 11 x 7.4; Q = (1,4) 1,41–1.6 (1.7);     Qe = 1,5.

da subglobose a largamente ellissoidali, liscie, ialine, metacromatiche, con apicolo e poro germinativo ben evidenti, ed ancora, come riportato in letteratura, destrinoidi al reattivo di Melzer [Canales et al., 2018; Niverio et al., 2012].

Basidi tetrasporici, cilindrico-claviforme [Canales et al., 2018]

Giunti a fibbia assenti [Candusso et al., 1999; Niverio et al., 2012]

Habitat specie originaria da aree tropicali e subtropicali, verosimilmente diffusasi nei paesi europei con il terriccio di colture floreali importate dalle zone di origine. A tipica nutrizione saprotrofica predilige terreni ricchi di humus fruttificando, in forma singola o gregaria di pochi esemplari, principalmente in serre o vasi da fiori in associazione a piante tropicali. Rarissime le fruttificazioni boschive segnalate nel territorio europeo.

Commestibilità: Non accertata. In ogni caso deve essere considerato non commestibile sia per l’esiguità ed inconsistenza della carne sia perché come per tutti i funghi lepiotoidi la specie deve essere ritenuta potenzialmente tossica.

Caratteri differenziali e specie simili

Per la particolare similarità con diverse altre specie congeneri, potrebbe non essere sufficiente per una corretta determinazione l’osservazione dei soli caratteri morfocromatici generali. In ogni caso la particolare e caratteristica fragilità del basidioma, la carne quasi inesistente, le marcate striature del cappello, le colorazioni giallastre, il gambo lungo e il piccolo ed evanescente anello sono elementi indicativi per un corretto orientamento determinativo. Può, in ogni caso, essere facilmente confuso con altri Leucoprinus che presentano colorazioni giallo-giallastre ma struttura relativamente più robusta e caratteri microscopici diversi come, ad esempio: L. flos-sulphuris (Schnizl.) Cejp (1948); L. denudatus (Sacc.) Singer (1951); L. medioflavus (Boud.) Bon (1976) [Cittadini, 2016] L. birnbaumii (Corda) Singer (1962). 

Collezione esaminata: Località Monti Peloritani, comune di Messina, in Sicilia, Bosco Candelara II^ su residui marcescenti di Pinus pinea, in data 22 settembre 2020, a circa 300 mt. slm, in zona esposta a Nord/Est interessata da soprassuolo boschivo misto con essenze di P. pineaQ. ilex e Q. gruppo pubescens, un solo esemplare, molto fragile, cappello sottile, quasi trasparente, di circa 3 cm di diametro e gambo di circa 8 x 0,2 cm. 

Diffusione territoriale

L. fragilissimus, è una specie cosmopolita con tipica distribuzione pantropicale diffusa in Africa, Asia, Oceania, Brasile, Argentina, Sud Africa, Nuova Zelanda, Malesia, Australia, Nord America, Sud America, Argentina [Niverio et al., 2012; Canales et al., 2018] ed ancora nel Sud Est del Nord America, dal Texas alla Florida, al Maryland ed all’Hohio meridionale [Kuo, 2015]. Nelle regioni a clima mediterraneo, come sopra accennato, fruttifica, anche se in maniera molto sporadica, in serre o vasi da fiori mentre i ritrovamenti in ambiente boschivo sono considerati rarissimi e di questi si hanno pochissime segnalazioni. Massimo Candusso lo riteneva, fino al 1990, “specie molto rara nelle nostre regioni e forse non ancora segnalata in Europa” [Candusso et al., 1990]. In effetti, in epoca successiva, per quanto ci è stato possibile appurare dalla nostra ricerca bibliografica, si ha notizia dei seguenti ritrovamenti:

  • Ottobre 2006, nel territorio di Castel Fusano (Roma, Italia) in bosco misto di Quercus ilex e Pinus pinealeg. M. Cittadini [Cittadini, 2016];
  • Agosto 2013, in località Monti Peloritani (Messina, Sicilia, Italia) su lettiera di foglie in bosco misto di Quercia e Leccio a 600 m slm., leg. N. Amalfi [Amalfi, 2013]; 
  • Ottobre 2017, nel parco naturale di Alcornocales, nel territorio della provincia di Càdiz (Spagna) in bosco ripariale con Ontano (Alnus glutinosa) e Querce (Quercus canariensis), leg. M. Canales e F. Iglesias [Canales et al., 2018];
  • Ottobre 2017, Càdiz (Spagna) ulteriore ritrovamento a pochi chilometri di distanza dal precedente, in Bosco con vegetazione ripariale, leg. M. Canales e F. Iglesias [Canales et al., 2018].

Riteniamo, in merito, anche se la nostra attenta ricerca bibliografica non ha fornito ulteriori risultati, che la specie possa essere stata, con molta probabilità, rinvenuta altre volte in ambiente boschivo ma non correttamente determinata o non attenzionata per le minute dimensioni e per la mancanza di interesse gastronomico. E’ opportuno, inoltre, precisare che eventuali segnalazioni di altri ritrovamenti possono essere sfuggiti alla nostra ricerca che, in tal caso, stante quanto sopra indicato, potrebbe risultare incompleta.