La peste a Messina, un lockdown nel 1743 Parte seconda
La peste invade la città
Iniziando il mese di giugno, è ormai per tutti evidente che in città corre la peste. Tra il popolo scoppia il panico, chi può va in campagna e fa provviste di ogni bene alimentare svuotando negozi e magazzini, per chi non ha mezzi economici inizia un tempo di fame e carestia. Il Grande ospedale è convertito in lazzaretto, agli abitanti è imposto di restare in casa se vi è un ammalato nella loro famiglia, per l’appestato che vive in case anguste o affollate si prospetta il triste destino del suo trasporto forzato nel Convento di S. Maria di Gesù ora destinato agli infetti.
I soldati coperti con tute impeciate, uncini e pale provvedono a togliere i cadaveri dalle case e dalle strade per seppellirli in fosse comuni scavate anche nelle piazze, i benestanti e il clero hanno il privilegio di essere tumulati all’interno delle chiese o in cimiteri ed esse esterni. I nostri autori non mancano di esaltare il comportamento di gran parte dei chierici , dei parroci e dei cappellani che”… sapendo molto bene essere le pestilenze principalmente castighi dei peccati”23 non si sottraevano al loro dovere di entrare nelle case per confortare e assistere spiritualmente i malati con la confessione e impartendo l’olio santo, così anch’essi, accostandosi agli infetti, si infettavano e morivano in gran numero. Ormai chi poteva provava a lasciare la città dirigendosi verso altri territori dell’isola, il disordine, la confusione e il panico si diffondevano sempre più.
La Chiesa per parte sua, prova a non deludere la speranza del popolo in un sempre possibile intervento divino per porre fine a tane sofferenze, esortandolo alla preghiera e alla penitenza, ma pure chiamandolo a partecipare a frequenti funzioni liturgie e processioni. L’ultima il 2 luglio al seguito dell’immagine sacra e venerata della Madonna della Lettera : “ Altro non si vedeva che processioni in giro per la Città di Santi senza però venirne Penitenza…”24. Queste iniziative della Chiesa locale avevano corso contravvenendo peraltro alle disposizioni del Viceré che anche il 30 giugno aveva disposto: “…Primo,che si proibissero qualunque sorta di adunanze, conversazioni, e processioni ”.25
Sappiamo che coloro che potevano abbandonavano la città per rifugiarsi nelle residenze di campagna, chi non aveva questa possibilità, anche rischiando la vita, provava a raggiungere altre località dell’isola pur di allontanarsi dal pericolo. La comunità appestata ora non doveva solo temere la severità della legge, ma ancor più la violenza delle comunità vicine che si organizzavano per impedire, con ogni mezzo, che i fuggiaschi potessero entrare nei loro territori. Baroni, Cavalieri e ricchi messinesi, che ovviamente fin dall’estate si erano trasferiti per prudenza nelle belle ville nei Casali fuori città, si organizzarono per ordine del Senato, ma anche nel loro interesse, per contenere la fuga del popolo verso le loro terre, allestendo postazioni armate lungo le strade di montagna che si diramavano dalla città verso l’interno dell’isola. Chiusero i due principali passi, quello di Bavuso che si trovava a nord vicino la cittadina di Villafranca e quello di Scaletta a sud-est.
Intanto in città, ormai isolata, il morbo faceva innumerevoli vittime in tutti i quartieri e il numero dei morti ogni giorno sembra che superasse i 500. I malati più gravi, che ormai non trovavano più posto nell’ospedale, si ricoveravano anche nel Convento di S. Maria di Gesù dei Frati Minori Osservanti fuori la Porta Reale. Verso la metà del mese di giugno si raggiunse il numero massimo dei malati e dei morti che ormai sfuggiva pure al conteggio di coloro che in ciascun quartiere avevano il compito di tenerne nota e pure di barricare le case ritenute infette segregandovi gli abitanti superstiti. I lugubri e lenti rintocchi delle campane “a morto “ che provenivano dalle tante chiese della città ove si officiavano continui funerali, obbligava a contare il succedersi dei decessi, consapevolezza che aggravava il già pesante clima di tristezza generale e accresceva il terrore diffuso. L’Arcivescovo decideva così di alleviare le sofferenze del suo popolo vietando quel suono: “…Si diede perciò ordine che non si sonassero campane a mortorio, né li Morti si portassero palesi, ma di nascosto la notte” 26. Nei giorni successivi si capì che quel primo sbarramento disposto attorno alla città dagli abitanti dei casali lungo i percorsi di montagna: “ [barriera]… che mosse a risa a chi la vidde, giacchè altro non era; che una sola fila d’ Impalazzate con molti rastelli per poter uscire comodamente, che più sembrava un serraglio di vacche”27, non riusciva a contenere quanti tentavano di fuggire: si temeva che la peste, di conseguenza, con le persone potesse dilagare oltre i confini di Messina. Era dunque urgente intervenire con mezzi adeguati per impedire che i fuggiaschi potessero diffondere i miasmi (Appendice 2) del morbo per tutta la Sicilia. Si era ormai ragionevolmente certi che quegli elementi invisibili ma mortali, passassero dal malato al sano ma in che modo ciò avvenisse varie erano le ipotesi: si supponeva veicolati dagli indumenti, dagli oggetti, dal pelo degli animali, forse da tutto; nella confusione e nel conseguente panico generale tutto era considerato possibile veicolo di trasmissione e fonte di pericolo mortale. Per il Governo è ormai assolutamente necessario e urgente mettere con ogni mezzo in rigido isolamento l’intera città e i territori circostanti. Lo Stato borbonico, colto impreparato, percepisce e affronta la peste nell’unico modo allora possibile, alla stregua di un assedio nemico ai suoi confini: per fermare e respingere l’aggressore sconosciuto e invisibile ricorre non ai medici, che non hanno e non danno soluzioni, ma ai militari e alle loro strategie di guerra, con metodi anche crudeli per costringere la popolazione al rispetto delle norme imposte.
Messina è isolata
Tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio, il Principe di Resuttano, il Principe di Malvagna e il Duca di Carcaci realizzano un ulteriore schieramento ininterrotto di 3000 uomini tra soldati e campagnoli, un “cordone” più esteso del primo, con recinzioni, fossati , casematte, lungo un percorso che per i monti Peloritani collega le città di Taormina sul mare Ionio a Milazzo sul Tirreno, chiudendo così al suo interno Messina i suoi borghi e villaggi circostanti abitati da oltre 90.000 persone. Inoltre, sono collocate postazioni armate lungo le coste e due navi vigilavano dal mare; le navi straniere possono attraccare ora soltanto a Palermo, Siracusa e Trapani. Il 30 giugno e l’8 luglio, in un momento in cui è massima la circolazione del morbo, il Governo centrale con due Bandi28 dispone le azioni da fare nei territori infetti per contenere l’epidemia. Terribili sono le sanzioni in essi stabilite per chi contravviene alle nuove disposizioni, fino alla pena di morte senza processo (Appendice n.3). Tutto sembrava inutile: per tutto il mese di luglio la peste continuava a diffondersi facendo facile strage dei messinesi praticamente reclusi nella loro città, i morti restavano lungo le strade insepolti o nelle case perché nessuno provvedeva a prelevarli, in città si pativa la fame, le case ormai disabitate venivano saccheggiate dagli sciacalli, contadini e uomini provenienti dalla vicina Calabria, sperando in lucrosi guadagni, si spingevano in città per vendere a caro prezzo alimenti ormai introvabili. Nonostante le ferree misure di contenimento adottate, tra la fine di giugno e i primi giorni di luglio il morbo compare anche in alcuni villaggi ubicati oltre il primo cordone di protezione, a Fiume di Nisi , ma pure a Bavuso, arrivando fino a Calvaruso e Scaletta. Non è difficile immaginare cosa altro sia potuto accadere di tremendo in una simile contingenza. Orazio Turriano annota che in città quasi improvvisamente e imprevedibilmente i decessi decrebbero velocemente nei mesi di agosto e settembre. Ma per avere l’ufficialità della fine dell’epidemia e l’apertura delle barriere che limitavano i movimenti in ingresso e in uscita dai territori messinesi, si dovette attendere che si ultimassero le complesse procedure dello “spurgo”, strategia di disinfezione imposta dal Governo dalla incerta utilità vanamente contrastata da Messina ma inevitabilmente subìta e due volte ripetuta, nell’arco temporale dal 18 febbraio 1744 al 18 dicembre dello stesso anno,. Accettato il primo spurgo le autorità messinesi tentarono in tutti i modi di evitare il secondo, consapevoli degli ulteriori danni che esso avrebbe arrecato ai beni dei cittadini, alle merci e ai tessuti in particolare, di cui erano pieni i magazzini pronti per l’esportazione. Si cercò di convincere il Viceré-pressato dalle altre città siciliane- con una accorata richiesta in tal senso datata 24 luglio 1744:“Supplichevole lettera del Senato di Messina a S. E. il Signor Viceré del Regno di Sicilia”, dove si legge: ”… tendon [le città ] a persuadere un nuovo Spurgo per Messina e suo distretto, cioè è quanto dire, incominciarla da capo, e non restare di Messina se non le ceneri” 29 . Per capire con quale timore e apprensione i commercianti e l’intero popolo attendessero la decisione dell’avvio di un ulteriore spurgo, è necessario avere almeno una sommaria idea delle procedure di sanificazione che esso prevedeva e dei danni che arrecava. Le istruzioni per fare lo spurgo trasmesse a Messina, complesse e dettagliate in ben 20 pagine 30, imponevano la pulizia, lavaggio e disinfezione con fumigazioni, degli oggetti: “… robe di lino, di barbace, di panno a lana, di seta con oro o argento, materazzi, coperte, armarij, quadri, libri, carrozze…e imbiancando [ le pareti delle case] con tre mani di calce viva stemperata nell’acqua di mare “31. Per queste operazioni, secondo gli esperti sostenitori della teoria miasmatica allora osservata, si prevedeva l’utilizzo di miscele di sostanze le più varie, pece navale, antimonio, incenso, bacche di ginepro, sale di ammonio, segatura di corno di cervo, rosmarino, pepe nero, salnitro e molto altro, composti che, riscaldati o bruciati, avrebbero purificato l’aria e gli oggetti dai miasmi da essi contenuti32. Tali procedure poco utili dal punto di vista sanitario, avevano il sicuro effetto – come è facile capire- di danneggiare gli oggetti e rendere ovviamente invendibili le merci trattate. Ci rendiamo conto di quanto grande sia stato il danno per la città che, in quelle circostanze, alle morti causate dal morbo e ai danni dello spurgo aggiunse pure, negli anni successivi, anche l’impossibilità di vendere i tessuti e i manufatti serici anche di nuova produzione, principale fonte di reddito della città, perché i potenziali committenti terrorizzati dai fatti del recente passato, li ritenevano pericolosi contenitori di miasmi pestiferi. La crisi produttiva determinò pure l’irreversibile trasferimento di numerosi setaioli a Catania, dove l’industria della sete da allora ebbe un considerevole incremento33.
Le conseguenze demografiche
E’ ancora il messinese Orazio Turriano, che diligentemente annota giorno dopo giorno il numero dei decessi, ma vi riesce solo fino ai primi giorni di giugno del ‘43 perché da allora il morbo diffondendosi velocemente sempre più in città, gli rende impossibile qualsiasi ulteriore conteggio (Tabella1). Solo con notevole approssimazione è oggi possibile conoscere quanti messinesi in quei terribili mesi del 1743 e del 1744 sopravvissero alla peste34. Nei quasi trecento anni che ci separano da quegli avvenimenti, numerosi studiosi hanno provato a contare le vittime anche per capire quanto quell’epidemia abbia condizionato il successivo sviluppo sociale ed economico della città. Fondamentali i dati forniti dalle fonti coeve disponibili, ovvero i riveli ufficiali del Governo Borbonico degli anni 1713-14, 1737, 1747-48, il censimento condotto nelle parrocchie in occasione di una “ visita ad limina” del 1742 all’Arcidiocesi di Messina e i dati riportati nei “ragguagli” compilati da autori testimoni di quegli avvenimenti. Le conclusioni cui si è pervenuti restano tuttavia incerte perché il metodo allora utilizzato per la rilevazione statistica della popolazione residente era impreciso per più motivi. Sappiamo infatti che la popolazione tentava in tutti modi di sottrarsi ai censimenti fornendo dati falsi perché su quei numeri si calcolavano le tasse e la leva militare, imposizioni certo da non favorire. La rilevazione era affidata prevalentemente ai parroci titolari delle parrocchie della città, obbligati a tenere il conteggio dei loro parrocchiani; è però noto che i prelati cercavano di certificare l’esistenza di un maggior numero di “anime” a loro affidate, per dimostrare di essere responsabili di parrocchie popolose, sperando così di accrescere il loro prestigio in città. E ancora, i censimenti duravano anni e pertanto fornivano dati soggetti a forti variazioni. Alle incertezze sopra individuate dobbiamo aggiungere che per il calcolo dei deceduti per quella epidemia di peste si fece ricorso al rivelo del 1747-48, che non poté conteggiare il vero numero dei sopravvissuti in città perché molti di essi non si trovavano più presenti nel territorio messinese perché profughi altrove nei giorni terribili del 1743 e non vi avevano più fatto ritorno. Al di là di ogni approssimazione, ci rendiamo conto che la strage fu certamente enorme. Oggi possiamo ritenere, ragionevolmente35, che prima del mese di marzo 1743, inizio dell’infezione, in città risiedessero circa 40300 civili e 2100 ecclesiastici, e che altri 20.000 abitanti popolassero i villaggi per un totale di 62.000 . La peste determinò con un tasso di mortalità del 66% circa 39000 decessi lasciando in vita solo circa 23000 abitanti in città e nei casali, riducendo notevolmente soprattutto la popolazione residente intra moenia36, il censimento del 1748 ne conterà poi 27.000 . Orazio Turriano riporta anche i numeri dei decessi e dei sopravvissuti nei tanti monasteri e conventi della città. Su circa 2000 tra religiosi e religiose presenti scamparono al morbo in 1179 cioè il 60 % un buon numero, se paragonato a quanto avvenne in città, tuttavia morirono circa 800 tra parroci, religiosi e suore e pure l’Arcivescovo. E’ interessante notare che nei nove monasteri di clausura femminili pare non sia morta nessuna religiosa: le severe regole claustrali che vietavano l’ingresso agli estranei in quelle comunità – inconsapevole look down – impedirono al morbo di penetrarvi salvando loro la vita. Certo tra il popolo l’infezione fece una vera strage , complici certamente il diffuso insufficiente livello igienico delle case con presenza di innumerevoli topi: “Ritrovandosi oggi questa città, oltremodo ripiena di immondezze , e tutte le strade impraticabili per le cotante lordure vi si ritrovano buttate dagli abitanti…”37, le anguste abitazioni, l’assenza di comportamenti utili per impedire il contagio, la scarsa alimentazione, e la mancanza di cure appropriate, tutte condizioni peraltro non molto dissimili da quelle di altri contesti urbani di quei tempi. Orazio Turriano, prima di porre termine alla sua testimonianza dei fatti accaduti in quegli anni, riporta che: ” …s’ottenne per ultimo dalla Generale Deputazione della Salute la dichiarazione sotto il 23 Febbraio 1745 di essere già limpia , esente e spurgata dal sofferto contagio la città di Messina, suoi Casali;e altri luoghi entro la barriera confinati; e che per tali si dovessero reputare e riconoscere; e cha la si togliesse la rigorosa indispensabile proscrizione, e la total privazione del commercio fin’all’ora esattamente praticata.”3Ma si dovette attendere ancora, per ultimare le ulteriori complesse operazioni di sanificazione, e così il 4 ottobre 1745, finalmente, fu emanato Ordine del Principe Corsini. In esso si diceva , nella premessa, che non vi erano più ragioni per mantenere la segregazione dei messinesi non giungendo più notizie di casi di peste né da Messina né da Reggio Calabria ( anche in quella città il morbo aveva fatto numerose vittime), e conseguentemente disponeva: “…Ciò supposto considerando noi non doversi oltrepiù sospendere il libero commercio alla Città di Messina, ed altri luoghi convicini… abbiamo perciò risolto…quindi vi ordiniamo, che dalli 6 del corrente ottobre inclusivè dobbiate ammetter a libero commercio sì per mare, che per terra tutti li procedenti da quella Comarca ” 39.
Appendice 2
I miasmi
Pur vivendo in costante compagnia di roditori e parassiti di cui erano intensamente infestate case , magazzini, strade, cloache e pressoché tutti gli ambienti abitati soprattutto delle città, fino agli inizi del XIX secolo si era lungi dal ritenere che essi potessero essere la causa della comparsa e del diffondersi delle più gravi malattie infettive che con frequenza aggredivano la popolazione . La fastidiosa coabitazione con quegli animali- anche nel 1743 anno in cui si sviluppò la peste a Messina- non costituiva un fatto eccezionale, bensì solo una fastidiosa realtà accettata, con cui era necessario convivere. Per medici e speziali, la causa del contemporaneo manifestarsi in più individui di una malattia infettiva era da attribuire ad esalazioni malsane i “ miasmi”, elementi non definiti nella loro intrinseca natura ma necessariamente presenti , prodotti da innumerevoli fonti: dal terreno, dai cadaveri in putrefazione, dalla sporcizia , dalle acque putride e da molto altro ancora. La percezione di cattivi odori diffusi nell’aria, era la prova della loro esistenza “ il potere malefico della morte volante” 1 essi, penetrando nei corpi per inalazione o contatto ne turbavano l’equilibrio degli umori, causando i sintomi delle malattie che in breve tempo potevano portare a morte. I miasmi erano ritenuti “caldi”, perché causavano l’aumento della temperatura corporea e “appiccicaticci”, infatti aderivano agli indumenti, agli oggetti e pure al pelo degli animali. Il fetore era prova della loro esistenza e si era concordi nel ritenere che essi non passassero direttamente da individuo a individuo ma sempre attraverso un veicolo.
L’esperienza però dimostrava che questi criteri che davano corpo alla teoria “miasmatica o epidemica” non riuscivano a dare ragione di molte evidenze. Si rilevava infatti, che con maggiore facilità nel corso di una epidemia si ammalavano le persone conviventi, i sani che frequentavano i malati e il morbo si diffondeva velocemente soprattutto nei quartieri malsani e nelle case anguste dei poveri. Si elaborò perciò nel tempo una nuova teoria la “contagionista” con la quale si cercava di dare risposta alle tante domande eluse dalla “epidemica”. Le nuove ipotesi supponevano ora l’esistenza di corpi patogeni che non provenivano dall’aria inquinata ma che erano emanati direttamente dagli individui malati2. Si trattava di un modello esplicitamente opposto rispetto a quello miasmatico. La nuova teoria giungeva alla conclusione che la causa delle malattie infettive non erano i miasmi e l’aere corrotto , ma un veleno (virus) che si attaccava alle cose e vi rimaneva a lungo. Si pensava alla possibile esistenza di semi contagiosi (seminaria), agenti patogeni che provenivano dall’individuo malato che li trasmetteva a quello sano, secondo tre modalità di contagio: per semplice contatto, per mezzo di veicoli (fomites) portatori di germi (es. vestiti, lenzuola), e infine a distanza senza contatto diretto né veicoli.
Ancora nel primi anni dell’800 l’opposizione teorica tra le due teorie contagiosa ed epidemica era netta ma entrambe erano ritenute insufficienti per spiegare compiutamente l’eziologia delle malattie . E’ interessante sapere che nel 1838 in ambiente medico si affermava per il colera che era: “Un morbo il quale s’appicca e passa da uno in un altro individuo, da uno in un altro luogo; traversa climi e regioni differenti senza perdere mai della sua forza non può al certo ripetersi che dall’azione di un corpo sui generis ingenerato, di natura specifica ed invariabile, il quale posto a
contatto dell’organismo vivente, induce sempre i medesimi identici effetti”3.
E pure nel 1883 :“Contagiosa [è] una malattia quando la causa che la produce è specifica, quando dà origine costantemente ad una malattia identica, si moltiplica grandemente e rapidamente nel corpo in cui è penetrata e dal quale facilmente per vie diverse si propaga e trasmette da un individuo all’altroˮ. Al contrario le malattie epidemiche: “diconsi generate da un miasma. Ma queste non si propagano da individuo a individuo; il principio che emana dalle paludi e provoca gli stessi malori negli individui che l’assorbono, non opera che su di questi soltanto, in essi finiscee non si moltiplica nel loro corpo indefinitamente, né viene dai medesimi portato ovunque e propagato alle persone che li avvicinanoˮ4.
Le due teorie, complesse e poco chiare, non erano certamente d’aiuto ai medici e alle autorità pubbliche che dovevano nelle emergenze tutelare la salute pubblica con opportune decisioni e utili interventi, conseguentemente, ad essi non restava che tenere conto di entrambe con provvedimenti inevitabilmente insufficienti e spesso inutili, come il caso dell’epidemia di peste messinese ampiamente dimostra. 5
Fu A. E, J. Yersin (1863-1943) a capire nell’800 che la peste non era causata dai “miasmi” ma da un bacillo (Yersinia Pestis). Egli capì che la catena di trasmissione origina dal ratto portatore dei bacilli, presente negli ambienti umani, che infetta le pulci e queste l’uomo. Il morbo si manifesta sotto tre forme con differenti quadri clinici a volte alche compresenti: bubbonica, setticemica e polmonare; quest’ultima molto pericolosa perché il bacillo è espulso con l’espettorato. La malattia procede in modo rapido e può portare a morte in pochi giorni. Anche i pidocchi infetti contribuiscono a diffondere la peste sotto forma setticemica passando da persona a persona . Le pulci e i pidocchi infetti possono vivere benissimo per lungo tempo anche sugli abiti , tra balle di tessuti, merci varie, pelo di animali e così con essi essere trasportati anche a lunghe distanze dal luogo di origine di una epidemia per creare altri focolai . L’uomo con i suoi parassiti e i suoi frequenti e facili spostamenti, fu dunque la principale causa della veloce diffusione delle epidemie di peste. L’epidemia messinese degli anni 1743 1744 per il gran numero di morti causati, per i sintomi e per il decorso rapido fu prevalentemente polmonare.
Appendice 3
Bando 8 luglio 1743, “Regole, e cautele da osservarsi in Messina e nel Regno”.
Si riportano di seguito solo alcune delle 55 disposizioni in esso contenute per fornire una concreta idea della determinazione con cui si operò e della severità di quei provvedimenti.
Nella sua premessa il Bando afferma che: “…il più potente rimedio, ed efficace preservativo consiste in regolar bene il commercio, che i corpi sani si difendano dal malor degli infetti”.
-“Sotto la pena medesima della morte naturale oltre della confiscazione dei beni, si vieta a’ Cittadini, ed abitanti sani della Città di Messina non solamente il conversare colle persone sospette [ di essere infette], ma ben anche il commercio fra di loro e tra una famiglia all’altra, ancorché fussero intatte dal male proibendo affatto le visite, le conversazioni, le scuole, i Tribunali, i Mercati e qualunque unione di gente…” Per chi contravviene è prevista la pena di morte.
-“Saranno puniti coll’ultimo supplizio quei Messinesi, che facessero vendita o compere di qualunque sorta di robe…suscettibili di contagio.”
-“ Che tutte le donne di qualunque condizione, e li fanciulli della Città di Messina che fossero di età minore di anni 15, debbano restare sequestrati nelle loro case…”
-“Che si dovessero uccidere tutti i Cani, che van vagando per la città.”
-“Nessuno nelle case infette possa distendere alle proprie finestre drappi, tele ed altre robe suscettibili”.
E inoltre, si prevedeva: la pena di morte per i fornai che non panificassero, il divieto di riunione per gli ecclesiastici, il divieto di organizzare processioni, l’ergastolo per chi non ottemperava all’ordine di bruciare o rendere inservibili le proprie barche ( si voleva evitare che possibili appestati raggiungessero per mare territori ancora sani), l’obbligo di murare le aperture delle case dove vi erano stati malati, la pena di morte per i ladri, 7 anni ai remi nelle navi per chi ospitasse o avesse relazioni con mendicanti privi del certificato “fede di sanità”, chiusura dei vicoli e quarantena per interi villaggi, e tanto altro di uguale tenore e gravità. Il Bando dà pure disposizioni circa il comportamento e l’abbigliamento di coloro che debbono avere contatti con gli appestati, su come rimuovere i morti dalle case e dalle strade, su come trasportare i malati al Lazzaretto, sull’obbligo della confessione del malato e dell’estrema unzione prima di qualsiasi altro atto a suo favore, ecc.
Cronologia essenziale della progressione della peste e dei fatti.
20 marzo 1743 |
Arrivo in porto dal vicino oriente di un pinco “Maria della Misericordia” con 14 uomini di equipaggio. Dai documenti di bordo risulta mancare un marinaio ,il comandante dichiara che è morto nel viaggio per cause imprecisate e che il cadavere è stato gettato in mare. La Deputazione di sanità messinese dispone contumacia di 24 giorni per le persone e 35 per le mercanzie trasportate. |
Prima del 30 marzo |
Muoiono il comandante e un marinaio. La Deputazione di sanità dispone di prolungare l’isolamento a giorni 40 per l’equipaggio e a giorni 50 per le merci e informa del fatto la Superiore Deputazione di Sanità di Palermo,. |
3 aprile |
Il Senato e la Superiore Deputazione di Sanità di Palermo ritengono non chiara la situazione sanitaria di Messina . La città è messa in contumacia per 40 giorni e vi inviano un Vicario Generale per acquisire più certe notizie. |
4-7 aprile |
Il Re a Napoli è informato. Si sospendono, come previsto dalle norme in tali contingenze, i rapporti commerciali con Messina e si danno altre disposizioni in ambito sanitario. Si dà ordine al generale Giuseppe Grimau comandante della guarnigione presente a Me, di chiudere militarmente la città ai primi casi di chiara progressione infettiva. |
16 Aprile |
A Palermo ancora non si è certi della presenza della peste. |
17 aprile |
Messina brucia il pinco e l’intero suo carico nella rada di S.Stefano Briga . Si sospetta che una parte di esso sia stato rubato e portato in città. Messina si oppone alle disposizioni sanitarie di Palermo |
15-16 maggio |
Si crede che tutto sia finito; Tedeum di ringraziamento in cattedrale. Aumenta il numero dei malati e quello dei morti nel quartiere dei Pizzillari. Il Governatore di Messina assicura il Viceré, con attestazione scritta di 36 medici, che a Messina non vi è la peste |
Dal 17 maggio |
Milazzo e Taormina interrompono i contatti con Messina. |
23 maggio |
La situazione si aggrava, aumentano i malati e i decessi: per i medici messinesi ancora non vi è la peste, ma una annuale malattia polmonare: Messina non accetta la realtà |
23-31 maggio |
321 morti. Si organizzano processioni religiose favorendo inconsapevolmente con gli assembramenti la diffusione del morbo. |
1 giugno |
Oltre 100 morti al giorno- I medici continuano a dire che non si tratta di peste. |
2-3 giugno |
259 decessi. Messina tergiversa ancora sulla interpretazione della realtà. A Palermo si è ormai convinti che a Messina vi è la peste; di dispongono gravi provvedimenti, il territorio messinese a nord-est di Milazzo a Taormina è confinato. |
3 giugno |
Pontificale in cattedrale e processione per la ricorrenza della Madonna lettera protettrice della città. |
Da 4 giugno al14 giugno |
E’ dichiarata ufficialmente la presenza della peste a Messina. Primi interventi: si convertono il convento di S. Maria di Gesù e il grande ospedale in lazzaretto, il Magistrato di salute chiede aiuti economici a Palermo, Siracusa invia a Messina le reliquie di S. Lucia e di S. Bernardino da Siena |
Dal 15 giugno |
Caos in città, aumentano i decessi . Si calcolano già 28841 morti. Cadaveri insepolti nelle case e per le strade, intervengono i soldati per l’ordine pubblico e per togliere i cadaveri. |
20 giugno |
Si infetta e muore l’Arcivescovo dopo processione nel Casale del Faro |
2 luglio |
Processione in città con l’effigie della Madonna della Lettera. |
Tra luglio e settembre |
Continuano i decessi ma si nota una diminuzione del contagio. |
4 ottobre |
Non ci sono altri morti |
18 febbraio -10 aprile 1744 |
Si effettua la procedura di “spurgo”. |
29 maggio 1744 |
Ultimato lo ” spurgo”, il Senato di Messina chiede al vicerè di riaprire la città- La Suprema Deputazione di Sanità di Palermo ordina invece di fare un nuovo “spurgo”. |
23 febbraio 1745 |
La Superiore Deputazione di sanità di Palermo dichiara libera da peste la città di Messina |
NOTE testo
23-ibidem, p. 33
24- Fedele Diario di tutto l’accaduto…cit. p.22
25- F. Testa, Relazione Istorica della Peste…, cit. p. 38
26 –Fedele Diario di tutto l’accaduto…, cit. p.22
27–ibidem- cit. p.22
28- F.Testa, Bando- Istruzioni mandate al Senato di Messina circa il sotterramento de’ cadaveri, il sequestro generale, e altre cautele da adoperarsi per impedire il progresso del male. Palermo, 30 giugno, 1743.
-Bando-Regole, e cautele di osservarsi in Messina e nel Regno, 8 luglio 1743. op. cit.,pagg. 37-45
29- O.Turriano, Memoria Istorica…, cit. p. 166
30-“ Istruzioni che servono di documento per lo Metodo che si deve osservare nello Spurgo…”,ibidem, pag 143
31- ibidem, pag 143
32 ibidem, p. 161
33- A.Ioli Gigante, Le città nella storia d’Italia, Messina, Ed. LaTerza, 1980, p.83.
34- [abbiamo] “Una conoscenza limitata, a volte oscura di tutte le vicende demografiche messinesi” e che “…è abbastanza difficile far concordare tutte le cifre riportate dai vari autori “G.Restifo, Peste al confine. L’Epidemia di peste del 1743, Palermo, Epos, 1982.
35- Per approfondire: G.Restifo, Peste al confine. L’Epidemia di peste del 1743, Palermo, Epos, 1982.-G. Martino, Porto, Privilegi & Pulici,Giambra,2019- G. Restifo, Le ultime piaghe. Le pesti nel Mediterraneo,1720-1820, Selene 1994- Ioli Gigante Amelia, Le città nella storia d’Italia, LaTerza- G. Restifo, Linee di demografia messinese del ‘700, CLEB,1980- Costanza Calogero, La peste a Messina nel 1743 http://www.trapaninostra.it/libri/Biblioteca_Fardelliana/La_Fardelliana_1985_n_2-3/La_Fardelliana_1985_n_2-3-04.pdf p.23
Zucchi, C. 1883. Il colera. Schizzo storico e profilattico. Milano.1984, 434).Camporesi, P. 2005. Introduzione: odori e sapori. In Corbin, A. Storiasociale degli odori, XI-LXIV. Milano: Bruno Mondadori.G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità ad oggi. Bari – Roma, 1997,1980- D.I. Cananzi-R. Davigo, V. Calascibetta, M. Aymard, . M. D‟ANGELO,
36- G. Restifo, Peste al confine… cit., p.97
37- “ Bando e Comandamento d’ordine dell’Ill.mo Senato di questa Nobile ed Esemplare Città di Messina” in Archivio di Stato-Messina, Archivi privati-Arenaprimo, 1744, vol II,
38- O.Turriano, Memoria Istorica…, cit. p.97
39- F. Testa, Relazione Istorica della Peste…, cit. p. 261
NOTE Appendice 2
1- Camporesi, P., Odori e sapori. In Corbin, A., Storia
sociale degli odori, XI-LXIV, Milano: Bruno Mondadori, 2005.
2- Bertini, P., Il cholera è o no contagioso?, Lucca. 1854
3- Liuzzi, I., Osservazioni sul Colera morbus indiano fatte in Roma
nell’estate dell’anno 1837. Roma. 1837
4-Zucchi, C., Il colera. Schizzo storico e profilattico. Milano.1984, p. 434).
5- Palermo D, I pericolosi miasmi. Gli interventi pubblici per la disciplina delle attività generatrici di esalazioni nel Regno di Sicilia (1743-1805), NDF, 2018