I “ Privilegi di Messina” sequestrati dalla Spagna nel 1679.

La storiografia italiana ha sempre rivolto particolare attenzione ai “privilegi“ di Messina, annullati e sottratti materialmente alla città dalla Spagna dopo la  rivolta degli anni dal 1674 al 1678. Grazie a più approfonditi studi, resi possibili sui quei documenti originali, rintracciati a Siviglia dopo oltre tre secoli, consistenti in  ben 1426 pergamene che contengono “privilegi, capitoli, documenti ecclesiastici e signorili, atti amministrativi e giudiziari e altro” datati dall’anno 1037 al 1632, scritti in latino, arabo e greco, è stato  possibile ampliare le conoscenze  sulla vita istituzionale, politica, sociale ed economica della città  dal medioevo all’anno del loro sequestro per ordine del re di Spagna Carlo II (Fig. 1).

Fig. 1 – Monumento equestre a Carlo II di Asburgo dello scultore palermitano Giacomo Serpotta. Eretto a Messina nel 1684 e collocato nella Piazza della Cattedrale nel luogo dove sorgeva il Palazzo Senatorio abbattuto.

Si è potuto così capire quanto intensa fosse in quei secoli l’attività politica della città nell’ambito del viceregno spagnolo per assicurarsi vantaggi e poteri istituzionali esclusivi utili ad una comunità sempre in competizione e inevitabile contrasto con le altre città siciliane, soprattutto con Palermo. Benefici e vantaggi che venivano acquisiti e confermati con ingenti donativi di denaro alla Corona, grazie ad una assidua opera diplomatica con il viceré o, quando consentito, direttamente con il re a Madrid. Sui “privilegi” tenacemente difesi e costantemente accresciuti, rimodulati e adattati alle necessità politico-economiche della città, i ceti dirigenti cittadini poggiavano il loro potere, il loro benessere economico e anche la pretesa dell’esistenza di una “particolarità messinese” in ambito siciliano. Ovvero, la pretesa di una città che non potendo essere completamente indipendente dal potere spagnolo, certamente ambiva a crearsi spazi di ampia autonomia. Le tante prerogative possedute o vantate da Messina facilitavano la vita economica e sociale cittadina. Si riporta un breve elenco: numerose le  esenzioni fiscali, tributarie e commerciali, le  concessioni territoriali , i benefici per  mantenere e rafforzare i  patrimoni e il prestigio di ceto dei singoli, il diritto per i cittadini di essere giudicati da tribunali messinesi, il predominio commerciale sul territorio nordorientale della Sicilia e sulla Calabria che si affacciava sullo Stretto; il diritto ad avere magistrati e funzionari solo messinesi, potersi pregiare del primo posto nella flotta regia per la galea armata dalla città, perfino il diritto di potere non mostrare all’autorità il documento originale di una concessione reale. Dal 1591 la città ottenne anche il monopolio dell’esportazione della seta nel nordest siciliano e la residenza a Messina del viceré e dei tribunali per 18 mesi ogni tre anni (diritto non rispettato poi dai viceré); dal 1596 l’apertura di un’università degli studi. Aveva ottenuto persino l’incredibile prerogativa di dichiarare elemento “odioso” l’autorità spagnola che si opponeva alle sue prerogative municipali e conseguentemente di sospendere l’attuazione di una disposizione non gradita, in attesa di superiori decisioni. I privilegi (da Fig.3 a Fig. 9), cui la città faceva continuo riferimento in quegli anni, facevano di Messina una quasi repubblica indipendente governata da una aristocratica commerciale, sotto protettorato spagnolo.

Ma la continua richiesta di Messina a Madrid di sempre nuovi diritti esclusivi, spesso effimeri, era finalizzata, in primo luogo, a supportare la sua economia e il suo ruolo di importante città, ma pure a sostenere il suo smisurato orgoglio civico che la impegnava in una irragionevole e sempre più anacronistica competizione, anche in ambito religioso, con le altre comunità siciliane, soprattutto con Palermo, per ottenere la sempre agognata supremazia politica nell’isola. Tra Messina e Governo spagnolo si era stabilita nel tempo una efficiente concordanza di interessi tra   particolari “libertas” e favori riconosciuti alla città come esclusivi diritti, che si aggiungevano ai tanti posseduti a fronte di ingenti elargizioni monetarie inviate a Madrid. Un perfetto “do ut des”. I re e i viceré moltiplicavano le concessioni soprattutto su aspetti secondari della vita cittadina gratificando così i richiedenti; Messina riconoscente, ringraziava offrendo denaro, navi e soldati. 

La struttura del privilegio

Il testo di ciascun nuovo privilegio ottenuto da Messina richiamava nella premessa le ragioni recenti che lo motivavano;  nella formulazione si curava che esso fosse sempre collegato ad altri  sulla stessa materia,  concessi anche in tempi remoti che, ovviamente, per Messina costituivano autorevole e incontestabile supporto, motivazione e priorità cronologica e fondamento della nuova richiesta. Di molti suoi particolari benefici, veri o falsi, Messina non sempre era in grado di presentare all’autorità spagnola gli originali perché spesso inesistenti, ma ugualmente pretendeva che non si mettesse in discussione la loro esistenza, richiamando un ulteriore privilegio che dava alla città il diritto di essere creduta sulla parola quando non poteva o non voleva   mostrare gli originali. È oggi certo che tra i tanti privilegi veri si trovavano pure molti falsi.  

I falsi privilegi

 I falsi diritti esclusivi della città erano stati elaborati -come il loro studio ha poi dimostrato- dall’oligarchia cittadina, in primo luogo per accrescere i poteri istituzionali di Messina, una città sempre impegnata nel tentativo di sottrarsi ai limiti e alle condizioni imposti dai governi delle nazioni che nei secoli l’avevano conquistata. Essi erano stati redatti soprattutto nei momenti di particolare difficoltà economica e sociale della sua storia per risolvere problemi contingenti che non avevano trovavano altre soluzioni. I Giureconsulti messinesi, con una attenta e abile elaborazione degli atti amministrativi e giuridici, provvedevano a mettere in correlazione diritti veri e diritti inesistenti, collegandoli ai fatti storici o presunti tali, che a loro parere li supportavano. La loro complessa procedura espositiva metteva a dura prova i giuristi vicereali e reali spagnoli che provavano ad ostacolare, ridurre o abolire le tante esclusive prerogative vantate dai messinesi, soprattutto quelle più antiche, riportate solo nei documenti più recenti e della cui veridicità si avevano scarse o inesistenti prove. Tra Messina e il governo di Madrid o di Palermo, si avviavano inevitabilmente frequenti contenziosi.  Oggi è noto che la maggior parte dei privilegi apocrifi si colloca nel ventennio dei Vespri siciliani 1282-1302 e attorno al 1435. Nel periodo più antico furono elaborati i documenti che riportavano quelli presunti concessi nei periodi romano e normanno tra questi quello che avrebbe riconosciuto a Messina il ruolo di “Siciliae caput” con obbligo della residenza del viceré in città e una vasta esenzione dai tributi estesa anche alle comunità del suo ampio territorio di pertinenza da Milazzo a Taormina. Su questi incerti privilegi Messina costruì le sue pretese e la convinzione di essere la vera capitale della Sicilia. 

Il controprivilegio

Un privilegio era particolarmente utile alla città quando si riteneva danneggiata da una disposizione governativa. Ricorreva ad un ulteriore suo diritto, la possibilità di presentare allo Stratigoto, ufficiale di nomina regia di stanza a Messina, un “controprivilegio” consistente in un documento contenente rilievi motivati per dimostrare che la nuova disposizione reale o vicereale o di altra autorità superiore contravveniva ai suoi privilegi. Se la Corte stratigoziale accoglieva le ragioni espresse nel “controprivilegio”, emanava una dichiarazione interlocutoria detta “eulogium contra privilegii”, con la quale confermava che vi era stata una violazione delle immunità cittadine: ”sunt contra realia et imperialia privilegia”, e con il successivo e conseguente  atto di “reductio ad pristinum” sospendeva l’attuazione del provvedimento contestato. Il “controprivilegio” e la sentenza di sospensione erano poi inviati al sovrano a Madrid e al Consiglio d’Italia per la definitiva valutazione e sentenza finale.  La città aveva pure ottenuto un’altra prerogativa: in assenza di risposta reale nei tempi stabiliti (realtà non infrequente), la dichiarazione di “controprivilegio” della città diveniva esecutiva con conseguente annullamento del provvedimento contestato. Il ceto dirigente messinese con il diritto di “controprivilegio”, che costituiva la massima garanzia dell’autonomia della città, perseguiva molto bene i suoi interessi e si comprende che, con il troppo frequente ricorso a questo diritto, Messina si trovasse spesso in aperto contrasto con il potere reale. 

Messina si ribella alla Spagna

Per la crescente marginalità della Sicilia nel contesto mediterraneo nei primi decenni del 1600, Messina prendeva atto che per mantenere le sue particolari prerogative e la continuità del suo benessere era ormai inutile insistere, come sempre si era fatto, con la  richiesta a Madrid di continui ulteriori favori e nuovi privilegi per sostenere la sua economia.  Molti in città ritenevano che la soluzione per ridare vigore alle produzioni e al commercio, con l’apertura ai nuovi mercati internazionali, consisteva ora in una minore dipendenza da Madrid e Palermo. Progetto, non privo di pericoli, la cui attuazione-si era consapevoli a Messina –  avrebbe suscitato gravi opposizioni e reazioni da parte spagnola e siciliana. In città cresceva così la convinzione che i tempi fossero ormai maturi, almeno per provare a rendersi indipendenti dal potere delle oligarchie palermitane che condizionavano, a loro favore verso gli interessi dei feudi e non dei commerci messinesi, le decisioni dei viceré spagnoli, del Parlamento siciliano e dell’amministrazione del viceregno. Tra il 1629 e il 1630 Messina, aveva già chiesto al sovrano Filippo IV, senza successo, nonostante l’elargizione di 800 mila scudi e l’impegno del futuro mantenimento economico della corte siciliana, la divisione del regno di Sicilia in due zone territoriali distinte una ad ovest con capitale Palermo e una ad est con capitale Messina, con due vicerè e due amministrazioni. Nel 1645 la città ridusse le sue pretese, suscitato ancora forti opposizioni, chiedendo almeno che fosse rispettato un suo particolare diritto, confermato nel 1616, che imponeva al viceré di risiedere con la sua corte per metà del suo mandato a Messina e l’altra metà a Palermo, soluzione che, si pensava, avrebbe contribuito a rivitalizzare la realtà sociale cittadina in aperta crisi, con favorevoli ricadute sull’economia. A Palermo il progetto messinese fu considerato costoso ed estremamente complesso per il trasferimento ogni sei mesi di tutta l’amministrazione da una città all’altra. I Governi di Madrid e Palermo temevano peraltro che Messina, già dotata di vasti e numerosi vantaggi che caparbiamente difendeva, con l’attuazione della residenza vicereale, anche se a tempo, assumesse una autorità nell’isola e un livello di autogoverno eccessivi e politicamente incontrollabili a danno di Palermo. Inoltre Palermo non mancava di ricordare al re la sua incontestabile fedeltà da lui riconosciuta: “città più obbediente e principale di questo regno” , contrariamente a Messina, negativamente giudicata e della quale si diceva che: “tiene una forma di vivere quasi di repubblica”. Anche questa richiesta messinese non ebbe seguito, essendo riuscita Palermo, ancora una volta, a confermare in Sicilia  il suo modello ”centralizzato” con riduzione della presenza e del ruolo di Messina. Dopo anni di crisi economica, di lotte civili tra fazioni cittadine contrapposte schierate pro o contro la Spagna, di fallimenti diplomatici per accrescere il suo ruolo e potere nell’isola, e l’insuccesso di qualsiasi sua proposta, a Messina aumentarono la frustrazione e  il malcontento  contro  i governi di Madrid e Palermo e  prevalsero le idee di coloro che speravano di poter  rendere la città con il suo ampio territorio, indipendente dalla Corona spagnola per  trasformarla in  una Repubblica marinara simile a Venezia o Genova sotto protettorato francese. Il 7 luglio del 1674 confidando nel sostegno militare della Francia di Luigi XIV, peraltro da lui promesso, Messina iniziò una rivolta contro la Spagna di Carlo II. L’imprudente solitaria ribellione, perché non fu seguita dalle altre città siciliane per liberare l’intera Sicilia, determinò solo terribili conseguenze per la sola città ed effetti ininfluenti sugli equilibri politici spagnoli in Sicilia. Dopo quattro anni di lotte e sacrifici per la popolazione messinese, la solitaria rivolta si concluse nel 1678 con il ritorno della flotta spagnola nel suo porto. Il Trattato di Nimega stipulato il 5 febbraio 1679  tra la Spagna e la Francia, stabilì il ritorto di  Messina  tra i possedimenti spagnoli e svanì così  per il ceto dirigente messinese  la speranza di poter percorrere, sotto egemonia francese, nuove e più moderne strade politiche ed economiche  e ottenere, dai nuovi padroni che lo avevano fatto sperare, anche  di poter assurgere a capitale del regno di Sicilia. Nel marzo di quell’anno il viceré spagnolo Vincente Gonzaga rientrava a Messina, ormai sedata, avviando da subito interventi punitivi. Una reale repressione fu decisa e attuata dal successivo viceré di Sicilia (1678-1687) Francesco de Benavides  Conte di S. Stefano. Egli giunse a Messina nel novembre del 1679, con il mandato reale di   ridurre il ruolo, il potere e il prestigio della città nell’isola e per il reato commesso di ”fellonia e lesa maestà” in quei quattro anni di ribellione di punirla in modo esemplare, anche nel suo orgoglio municipalistico secondo le regole del diritto spagnolo. Il viceré mise in atto una lunga serie di gravi sanzioni che danneggiarono gravemente tutti gli ambiti della vita messinese, dalla cultura, alla produzione, ai commerci, alla vita sociale. Messina perde da allora il suo prestigioso ruolo nel Mediterraneo e si avvia verso una progressiva involuzione sociale ed economica, ulteriormente aggravata poi dalle conseguenze del   terremoto del 1783. La repressione spagnola, con sottile intento vessatorio in opposizione al potere civico, volle colpire anche l’orgoglio cittadino con provvedimenti umilianti. Tutto  fu deciso e fatto   a  futura memoria dei messinesi di quanto accaduto in quei recenti anni e per ribadire che il potere e il benessere della città dipendevano esclusivamente dal volere del re spagnolo e certamente non da impossibili aspirazioni e pretese della borghesia commerciale della città   Il governo spagnolo era però consapevole che per prevenire altre  future ribellioni  e  contenere  nuove pretese cittadine, era necessario confiscare immediatamente tutti quegli atti sovrani amministrativi, commerciali e politici ai quali  la  classe dirigente messinese  ricorreva , come aveva ancora fatto nel recente passato,  per poter sostenere il diritto di avere posizioni di favore nell’ambito del viceregno di Spagna.  

Messina privata dei privilegi perde il suo ruolo in Sicilia e nel Mediterraneo

Con il fallimento della ribellione degli anni tra il 1674 e il 1678 e la conseguente impossibilità di percorrere nuove strade politiche ed economiche, tanto auspicate, se si fosse realizzata la protezione della allora più dinamica Francia di Carlo II, la città andò incontro ad anni di profonda crisi, ulteriormente accentuata dalle decisioni della Spagna,  che colse l’occasione, nel 1679, della debolezza politica della città, per privarla (come si è già accennato) del suo archivio contenente quei privilegi che tanti problemi  avevano già procurato allo Stato. Le cronache cittadine narrano che alle ore 22 circa del 9 gennaio 1679 Francisco de Benavides conte di Santisteban del Puerto vicerè di Sicilia colpì la città “…cancellandone anche simbolicamente l’identità e dichiarandola morta civilmente e indegna di ogni onore”. Egli, da un locale del campanile del duomo della città, nel quale era conservato, fece prelevare a Don Rodrigo Antonio de Quintana consultore di Sicilia, alla presenza del notaio Vincenzo Dandolo, tutto l’archivio messinese, la documentazione attestante favori, vantaggi,

le immunità, che caratterizzavano la configurazione giuridica e amministrativa della città, atti sovrani che da quel momento, per ordine reale, perdevano ogni valore giuridico. Nell’ordine il viceré così motivava la gravissima decisione:  “… i privilegi e il loro contenuto, di proposito sempre male interpretato, costituiscono la base su cui si è costruiti il gran cumulo di eccessi e di irriverenze che ai danni del suo decoro ha sperimentato la Maestà  del Re nostro Signore… ho deciso che si tolgano  gli originali dell’archivio e siano condotti a questo palazzo Reale …”.   Don Rodrigo raccomandò, che quanto avveniva avesse in città e oltre la massima risonanza: “ se hara la diligencia  a la hora de la mayor pubblicidad que sea notorio y se escusen motivos de nuevos enganos e nel pueblo”.  Le cronache di quanto accadde in quella notte dicono che il materiale sequestrato ( da quel momento definito Fondo Messina): la parte cartacea e  le 1426 pergamene, senza alcun criterio archivistico, fu posto in 23 sacchi e portato  al Palazzo reale sul porto. Il viceré fece prelevare successivamente anche i documenti della Cattedrale, dell’Archimandridato e della Diocesi e la biblioteca del Duomo con i codici greci dell’umanista Costantino Lascaris (che oggi si trovano nella Biblioteca nazionale di Madrid) e tutto inviò al suo re a Madrid. Da quel giorno si perse traccia in terra spagnola di quelle pergamene e carte che le generazioni successive messinesi ritennero perdute.

I privilegi del “Fondo Messina” in Spagna

 L’interesse per le sorti del Fondo Messina riprende solo nei primi anni ’70 del 1900 quando un bibliotecario spagnolo Gregorio de Andèas, durante la ricerca dei codici greci di Costantino Lascaris, (codici greci, conservati oggi nella la Biblioteca Nazionale di Madrid), dimostra che il disperso Fondo Messina si trovava nell’archivio del Duca di Medinaceli a Siviglia. Gli studi successivi di una équipe di studiosi voluta congiuntamente dai governi spagnolo e italiano con la Fondazione Casa ducale Medinaceli ricostruirono il percorso compiuto in terra spagnola dai documenti messinesi (Fig. 2)

Fig. 2- Il Fondo Messina in Spagna. (1) Anno 1679 il Fondo Messina arriva via mare a Valencia; (2)  poi a Madrid ; (3) 1685 Carlo II dona il Fondo Messina a Francisco de Benavides conte di Santisteban del Puerto che lo conserva nel suo castello di Avila ; (4) Anni settanta del 1900 il Fondo Messina è rintracciato a Siviglia nell’archivio Medinaceli ; (5) Parte del Fondo Messina si trova oggi a Toledo 

Tutti i documenti sottratti alla città in quella notte del mese di gennaio  del 1679 dai marinai spagnoli  furono caricati su una nave che partì per raggiungere la città di  Valencia (Fig.2,1) e da lì Madrid (Fig.2,2) per essere consegnati al re Carlo II. Questi nel 1685 regalò quanto era giunto da Messina al suo viceré  Francisco IV de Benavides conte di Santisteban del Puerto (viceré di Sicilia dal 1678 al 1687). Il re spagnolo con quel dono, si ritiene abbia voluto dimostrare la sua gratitudine a chi, durante il suo servizio alla corona, bene aveva operato nella repressione della ribelle città di Messina. In quello stesso anno 1685 il viceré  Francisco IV de Benavides conte di Santisteban del Puerto depositò tutto il materiale donatogli dal re, tra altri documenti nel castello Magalia di Las Navas del Marqués in terra d’Avila (Fig.2,3) e lì rimase fino agli anni trenta del secolo XVIII quando i Benavides lo trasferirono in una loro casa di  Madrid. Un ulteriore spostamento avvenne nel 1764 a seguito del matrimonio di una erede del conte di Santisteban, donna Joachina de Benavides duchessa di Santisteban, con il duca Luis Fernandez di Medinaceli, l’intero archivio della famiglia Santisteban, comprese le quattro casse contenenti le pergamene del Fondo Messina, fu unito al vasto archivio Medinaceli conservato nella casa della famiglia,  ubicata sul viale del  Paseo del Prado  di  Madrid . Ad inizio ‘900 vi fu un ulteriorespostamento del Fondo Messina in altra residenza madrilena della stessa famiglia Medinaceli in Piazza de Colon, per arrivare nel 1958 a Siviglia (Fig.2,4) nella “Casa de Pilatos”. Dal 1993 le pergamene del Fondo Messina si trovano a Toledo (Fig.2,5) presso l’Hospital de San Juan Bautista, ritenuto luogo più adatto per la loro conservazione, costituento la sezione Santisteban del Puerto del più vasto Archivio della Casa Medinaceli. Solo dal 1990 da parte di una équipe internazionale di studiosi sono  stati fatti  interventi di inventario, studio e restauro delle pergamene. Oggi Il Fondo Messina è suddiviso in 4 subfondi: “La città (Universitas)”, “La Cattedrale”; “L’Archimandritato”;  “Varie” con atti dei privati.L’organizzazione archivistica della sezione cartacea fu affidata a studiosi spagnoli. Nel 1994 solo per breve tempo dall’1 al 28 aprile, 112 pergamene tornarono a Messina per essere esposte al Palazzo del Municipio (Palazzo Zanca) in occasione del convegno di studi “Messina: Il ritorno della memoria storica” realizzato sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro e del Re di Spagna Don Juan Carlos I.

Bibliografia

Tra la vastissima bibliografia riguardante la rivolta messinese si è fatto riferimento alle pubblicazioni sotto elencate. 

1-R.Cancilia, “Capitali senza re nella Monarchia spagnola: Identità, relazioni, Immagini (secc.XVI-XVII), Quaderni mediterranei, 36 Tomo I,  Palermo,2020.

2-L.Catalioto, G. Migliore, “Le carte messinesi dell’Archivio ducale Medinaceli di Toledo”,in Archivio Nisseno, vol. 20 (2017), pp. 55-77.

3-C.Giardina, “Capitoli e privilegi della città di Messina”, Palermo, MCXXXVII in  “ Quaderni catanesi di studi classici e medievali”, 4,1980, pp.641 sgg.

4-F.Martino, “Documenti dell’Universitas di Messina nell’Archivio ducale Medinaceli a Siviglia”, Società messinese di storia Patria, Archivio Storico Messinese, 94/95, Messina 2013-2014.

5-F.Martino, “Una ignota pagina del Vespro: la compilazione del falsi privilegi messinesi”.in Archivio Storico Messinese, Vol57-III serie-XLIII,1991.

6.-P.Pieri, “La Storia di Messina”, Ed D’Anna ,1939.

7- L.Ribot, La Sicilia e Messina nei secoli XVI e XVII, pag 41.

8-S. Gonzalez, “De Messina a Sivilla. El largo pelegrinarde un archivio siciliano por tierras espagnolas”, in Il ritorno della memoria, Ed. Novecento, 1994, pag 129

9-B.M. R.Spinella, ”Regesto delle pergamene della Chiesa di Messina  conservate nell’Archivio Ducal Medinaceli di Toledo, (Fondo Messina (XIV secolo) Tesi dottorato autrice”2012/2013.

10-A. Sparti,“Un caso singolare nella storia degli archivi: il “fondo Messina nell’Archivio ducale Medinaceli di Siviglia”,in Il ritorno della Mamoria, ed. Novecento, 1994, pag 368.

11-C.Tavilla “La controversia del 1630  sullo Studium:politica e amministrazione della giustizia a Messina tra cinque e seicento”.in: www.societamessinesedistoriapatria.it.

12-G.Tricoli,“I privilegi di Messina nella storia della Sicilia”,  in “Il ritorno della memoria”, Ed. Novecento, 1994,p.403.

13-C.Trasselli, “I privilegi di Messina e di Trapani (1160-1355)”, Palermo 1949.

14-R.Villari, “La rivolta di Messina (1674-1678) e il mondo mediterraneo”.Luigi Pellegrini editore, 2001.