Camigliatello, funghi e montagna
Fine settimana da venerdì 28 a domenica 30 settembre 2018
Info e prenotazioni: Angelo Miceli tel. 3286955460 email: amipreside@alice.it
“Camigliatello, funghi e montagna” 28-29-30 settembre 2018
ALLA SCOPERTA DELLE BELLEZZE DI CASA NOSTRA
di Antonella Mauceri
È cosa risaputa che gli italiani, da buoni esterofili, tendano a sopravvalutare le bellezze esotiche, trascurando o relegando all’interesse degli studiosi i tesori che ci appartengono e che fanno della nostra terra una vera culla di cultura e civiltà. In realtà, al di là degli studi specialistici degli “addetti ai lavori”, manca nell’uomo comune la consapevolezza del privilegio di possedere, in quanto italiano, un immenso patrimonio artistico, archeologico e naturalistico da custodire nel rispetto di una tradizione millenaria che fa di noi un popolo di antiche e nobili origini. Non esiste, in altre parole, l’orgoglio derivante dalla consapevolezza che tutte le sofferenze sopportate nei secoli a causa delle invasioni straniere, delle divisioni e delle guerre, ci abbiano dato tuttavia una grande opportunità di crescita attraverso le esperienze vissute e il graduale assorbimento delle culture degli invasori che nei secoli si sono avvicendati. Il nostro suolo, dunque, custodisce, nei suoi molteplici aspetti, le tracce di radicate connotazioni storiche, artistiche e naturalistiche, le quali, se ben conosciute e apprezzate, dovrebbero essere, per ognuno di noi, una vera ricchezza culturale oltre che civile e morale.
In tale prospettiva, la visita recentemente effettuata dalla nostra Associazione presso alcune località calabresi, particolarmente importanti dal punto di vista artistico, storico e naturalistico, ha offerto lo spunto per alcune riflessioni personali che di seguito vorrei esporre.
In primo luogo, la fiorente vegetazione e la preziosa fauna custodite nel Parco Nazionale della Sila prima tappa del nostro percorso, dovrebbero essere, per ciascuno di noi, la testimonianza di quanto importante sia, per l’equilibrio naturale, la difesa di ogni tipo di vita che tuttavia viene spesso sacrificata sull’altare degli interessi egoistici di una cieca logica utilitaristica. Nel caso specifico, la storia tormentata del territorio silano, da sempre teatro di lotte sanguinose per la conquista del suo prezioso patrimonio boschivo e del fertile terreno da coltivare, ci racconta che più volte in passato si è rischiata l’estinzione di ogni forma di vita. Il disboscamento sistematico, già presente fin dall’ età preistorica e perpetrato nel corso dei secoli, causò nella regione, danni ambientali di tale entità da richiedere, da parte delle autorità competenti, interventi utili alla salvaguardia del territorio. Per arginare il fenomeno, occorreva dunque un’opera di sensibilizzazione finalizzata alla presa di coscienza dell’esigenza di creare aree protette, che, in effetti, iniziò nel 1923 e si concluse, dopo un lungo e travagliato percorso politico, nel 2002 con l’istituzione del Parco Nazionale. Oggi quest’area, il cui manto boschivo è stato perfettamente ripristinato, comprende 21 Comuni distribuiti sulle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone. Con la rinascita della vegetazione molte specie animali sono state salvate dall’estinzione e fra esse ricordiamo quella del lupo silano, bellissimo predatore dei boschi.
Se dunque l’aspetto naturalistico della regione ha piacevolmente caratterizzato la prima parte della nostra breve gita, non meno interessante, dal punto di vista storico, è stata la visita del castello Normanno di Santa Severina, le cui vicende millenarie si intrecciano strettamente con quelle del territorio circostante. L’imponente costruzione, che si affaccia sull’ampia vallata del fiume Neto e sulle colline crotonesi, si configura come una commistione tra il forte militare e l’edificio monastico per via del fatto che il suo corpo centrale, di tipo militare edificato da Roberto il Guiscardo re dei Normanni, sorge su una preesistente costruzione religiosa bizantina a sua volta edificata sull’acropoli dell’antica Siberene. Si tratta in definitiva di stratificazioni architettoniche di diversa natura che testimoniano l’avvicendarsi delle varie dominazioni avvenute nel territorio.
Nel corso dei secoli, dunque, i Bizantini e i Normanni preceduti dagli antichi Enotri e seguiti dagli Angioini e dagli Aragonesi, modificarono attraverso varie ristrutturazioni l’aspetto del castello, lasciando in maniera indelebile, le tracce del loro passaggio. La più importante opera di ammodernamento avvenne comunque durante il dominio feudale dei Carafa tanto che l’imponente fortezza, così ristrutturata, assunse anche il loro nome oltre a quello di “Castello Normanno” e di “Castello di Roberto il Guiscardo”.
In posizione antistante il castello, nel centro storico, non può passare inosservata la Cattedrale, chiesa metropolitana che, risalente al periodo compreso tra il 1274 e il 1295, fu costruita e dedicata a Santa Anastasia per volontà del vescovo Ruggero di Stefanuzia. L’opera, dalla conformazione a croce latina, si completa, sul lato sinistro, con la torre campanaria a base quadrata. All’interno, il magnifico soffitto a cassettoni in legno conferisce all’edificio una sacra maestosità. Anche in questo caso, le varie modifiche e ristrutturazioni, avvenute nel corso dei secoli, hanno cambiato l’aspetto originale, conservando però il pregevole portale duecentesco che si affaccia sulla luminosa facciata. Tra i numerosi tesori d’arte custoditi nella basilica, di notevole rilievo artistico sono il crocifisso quattrocentesco e l’urna d’argento, contenente le spoglie di Santa Anastasia, prezioso dono di Roberto il Guiscardo.
L’imponente solennità della Cattedrale ulteriormente valorizzata dall’attiguo Battistero, raro esempio di architettura bizantina, con il meraviglioso panorama circostante, contribuisce, in una visione d’insieme, alla creazione di un paesaggio fatto di bellezze naturali e artistiche che infondono un sentimento di pace e di preghiera, dove non c’è spazio per ogni altro tipo di esistenza. Risalta dunque, agli occhi del visitatore, la grandiosità dell’intera struttura, autentico tesoro ereditato da un’antichità ricca di arte e di storia che nei secoli ha conservato l’originaria connotazione di ascetismo e di spiritualità.
L’ atmosfera di misticismo e sacralità che abbiamo incontrato a Santa Severina si può ritrovare anche a San Giovanni in Fiore, centro silano della provincia cosentina al quale la famosa abbazia Florense conferisce un’inconfondibile impronta ecclesiastica. La struttura religiosa, di inestimabile valore artistico, rappresenta infatti l’emblema di una tradizione spirituale la cui nascita è legata alla figura carismatica dell’abate Gioacchino da Fiore, monaco esegeta del VII secolo. L’opera, di stampo romanico, edificata per volontà dell’abate, risale al periodo compreso tra il 1189 e il 1198, allorquando il religioso, giunto in questi luoghi che maggiormente rispondevano alle sue esigenze di pace e meditazione, fondò un insediamento dell’ordine florense derivante dal ceppo benedettino. E proprio in linea con l’austerità di San Benedetto, la chiesa, la cui architettura è ad una sola navata, ha un aspetto sobrio nella sua grandiosa semplicità. La cappella laterale destra custodisce l’urna contenente le spoglie di Gioacchino da Fiore.
Visitando questo borgo dove l’antico e il moderno si incontrano in un connubio meraviglioso, non si può non apprezzare il profondo rispetto degli abitanti verso tutto ciò che rappresenta la tradizione. Il fiorente artigianato, ancora molto sviluppato in questa zona, affonda infatti le sue radici nell’antica cultura rurale che ha permesso di trasmettere, di generazione in generazione, raffinate tecniche per la lavorazione del legno, del ferro battuto e della tessitura a mano, ancora improntate su un’antica metodologia di tipo arabo e bizantino.
Con la visita a San Giovanni in Fiore, ultima tappa del nostro breve ma intenso percorso, si è conclusa la nostra piacevole esperienza che ci ha fatto comprendere come un mondo, in cui regni una convivenza tra natura e misticismo, sia ancora possibile.