Noto, Pachino e Marzameni

domenica 15 Ottobre 2017
Noto, Pachino e Marzameni

Organizzazione in loco a cura del Preside Paolo Dipietro

DIARIO DI UNA GITA A PACHINO

di Antonella Mauceri

L’amore per il luogo natìo è certamente qualcosa di profondamente radicato nell’animo umano e i  ricordi legati ad esso sono  segni indelebili che ci accompagnano per tutta la vita. Quando poi, al naturale attaccamento affettivo si accompagna il piacere derivante dall’ammirazione della realtà paesaggistica, il coinvolgimento è pressoché totale.

A volte la semplice visione di certi paesaggi a noi cari ci fa rivivere lontane emozioni, così come avvenne una sera del mese di Giugno allorquando, guardando le foto di Pachino pubblicate su alcuni siti on line locali che stavo visitando, rimasi talmente colpita dal fascino del mio paese  che sentii il desiderio di condividere quell’emozione con gli amici di Adset. Certo, nel momento in cui pensai  di diffondere le immagini nel nostro gruppo WhatsApp non potevo supporre  che esse avrebbero suscitato tanto interesse da voler  organizzare una visita proprio in quei luoghi!   Fu così che, interpretando e condividendo l’entusiasmo dei soci, il nostro Presidente, il Dirigente Scolastico Prof. Angelo Miceli, da sempre  impareggiabile  promotore  di interessanti iniziative, fece in modo che un semplice desiderio  si tramutasse in realtà. Nel panorama variegato della Sicilia, la curiosità di molti nasceva, soprattutto, dalla constatazione della diversità di quei  siti rispetto ai  paesaggi della Sicilia settentrionale per lo più caratterizzati dal verde terreno collinare che, specchiandosi nelle acque dello Stretto fronteggia i rilievi calabresi. Tale diversità  fu subito palese quando, partiti nelle prime ore del mattino del giorno 14 ottobre, superata la Piana di Catania, si aprì davanti a noi lo scenario  di  un territorio erboso e pianeggiante che si illuminava ai primi bagliori del sole nascente. Alla nostra sinistra, l’azzurro intenso del mare ci accompagnava lungo il nostro percorso. Sapevamo che proprio all’ingresso del paese ci attendeva il Dirigente Scolastico prof. Paolo Dipietro, da noi precedentemente contattato in quanto prescelto come guida  dei luoghi da visitare. Originario di Pachino dove per anni ha diretto l’Istituto Comprensivo “Brancati”, scrittore e profondo conoscitore dei siti archeologici locali, il nostro amico aveva accolto l’ invito  con l’entusiasmo di chi, fiero delle proprie origini, è ben lieto di mostrare a tutti le bellezze dei luoghi nativi.

Giunti dunque a destinazione, con la visita alla Società Cooperativa “Aurora” poco distante dal centro abitato,  è iniziato il nostro percorso. Il presidente dell’azienda, dott. Salvatore Dell’arte che ci ha permesso di visitare gli spazi riservati alla lavorazione del famoso pomodorino “Pachino”, con grande passione e orgoglio ci ha raccontato che nel lontano 6 Luglio 1967 la potenza visionaria di sedici pionieri diede vita ad una aggregazione tra produttori. Egli stesso, socio da ben trentaquattro anni, ne era diventato presidente da sedici. Oggi i componenti della società sono ottanta e stanno investendo nella segmentazione dell’offerta di pomodorino che del luogo d’origine prende il nome. Inoltre, avendo allargato la produzione ad altri tipi di ortofrutta, l’azienda “Aurora” rifornisce la Coop italiana, prima catena della grande distribuzione.

Completata questa prima tappa, poco distante, il borgo di Marzamemi, in origine piccolo villaggio di pescatori, oggi centro turistico di un certo rilievo, ha catalizzato la nostra attenzione per il suo caratteristico e suggestivo aspetto. Il suo nome, (Marsa-al-hamem ovvero rada delle tortore) è da ricondurre agli arabi, primi abitanti della zona dove  costruirono la tonnara rimasta funzionante fino agli anni cinquanta, introdussero la coltivazione degli agrumi, bonificarono le campagne. Oggi il sito, con le sue architetture, con le prime “casuzze arabe” rimaste intatte nella loro bellezza arcaica, con il mare cristallino che lo circonda, offre agli occhi del turista uno spettacolo  indimenticabile.

Per tutte queste  caratteristiche, soprattutto negli ultimi anni Marzamemi ha registrato un crescente sviluppo turistico al quale si affianca, come risorsa  economica,  la lavorazione del pesce. Passeggiando infatti, lungo il corso principale, non poteva  restare inosservata l’azienda Campisi, che nel suo genere rappresenta un esempio importante dell’operosità locale. Nata nel 1854, come attività artigianale nel campo della lavorazione manuale del pesce proveniente dal mar Ionio e dal Mediterraneo, essa è andata man mano sviluppandosi pur conservando e perfezionando i metodi antichi. Salvatore Campisi, giunto alla quinta generazione di lavorazione dei prodotti di tonnara, è considerato uno degli ultimi artigiani del mare e per la sua esperienza sulle antiche lavorazioni per la conservazione del pesce, ha ricevuto vari riconoscimenti dalla Regione Sicilia.

 Occorre comunque precisare che, in un panorama più ampio a livello territoriale,  il turismo, l’artigianato ittico, la coltivazione ortofrutticola sono  soltanto alcuni aspetti dell’mprenditoria locale la cui principale connotazione  resta la produzione vinicola. A riprova di ciò, lo stabilimento “ Di Rudinì”, oggi museo etnico che siamo andati  a visitare in Contrada Lettiera poco distante da Pachino, è la testimonianza di una vita  rurale che fin dall’antichità  ha caratterizzato l’economia di tutta la zona, influenzandone  gli sviluppi. A farci da guida nell’interessante escursione è stato il sig. Guido Rabito, giovane studioso e profondo cultore amatoriale dei siti archeologici locali, che  con le sue   descrizioni degli oggetti antichi conservati all’interno del museo  e con gli ampi   riferimenti storici ci ha introdotto  nella realtà  di questi luoghi. Si è appreso pertanto, che Pachino, da sempre conosciuto come il paese del vino, vide crescere e fiorire  in passato, con lo sviluppo della coltivazione della vite, un sempre più consistente numero di piccoli palmenti. In tale contesto, lo stabilimento  la cui costruzione fu  iniziata nel 1897 e ultimata  nei primi anni del 1900 per volontà del marchese Antonio Di Rudinì pioniere dell’imprenditoria siciliana ed erede dei fondatori di Pachino, si proponeva di razionalizzare e industrializzare il ciclo lavorativo dei piccoli palmenti, tanto da diventare   estremamente moderno per i tempi. Avendo svolto, per molti anni un ruolo fondamentale nella storia economica locale, ha contribuito a determinare il passaggio dai sistemi produttivi artigianali a quelli industriali. Dopo decenni di produzione a pieno regime, l’imponente costruzione ha poi conosciuto un rapido declino, tanto da essere abbandonata. In anni recenti si è proceduto al suo recupero essendo stata inserita dall’Amministrazione comunale in un progetto più generale denominato “ecomuseo del Mediterraneo”. Oggi lo stabilimento ha perso la sua connotazione prettamente enologica per assumere quella di tipo turistico-culturale ed è uno dei massimi esempi di archeologia industriale del settore vitivinicolo della Sicilia. 

 In serata, con il nostro trasferimento a Noto, città d’arte riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, non poteva non risaltare il contrasto tra il lusso, la maestosità e l’eleganza  barocca dei suoi palazzi e la laboriosità contadina e artigianale  dei luoghi appena lasciati.  La passeggiata lungo il Corso, vera concentrazione  di grandi tesori architettonici come il Palazzo Nicolaci, il Palazzo Ducezio e la Cattedrale tutti sapientemente illuminati durante le ore serali, è stata un’emozione unica!

Il giorno successivo, in una domenica assolata, la nostra gita è proseguita con il ritorno a Pachino dove, guidati dagli amici Dipietro e Rabito abbiamo visitato  la pinacoteca comunale che ospita una mostra permanente di opere pittoriche donate da alcuni artisti locali. Il piccolo museo, coordinato dal Comune di Pachino, è stato collocato all’interno di un ex mulino divenuto, in seguito, carcere mandamentale la cui attività durata per qualche decennio,  è cessata anch’essa da tempo. Oggi i locali, opportunamente restaurati vengono utilizzati per lo svolgimento di attività culturali di un certo rilievo come ad esempio il Festival brancatiano, realizzato dal 20 al 23 Maggio 2015 in onore di Vitaliano Brancati. A ricordo e testimonianza dell’avvenimento, molte fotografie dell’importante scrittore pachinese  tappezzano le pareti di alcune sale.

Non lontano dalla pinacoteca, alquanto interessante è stata la visita del centro storico del paese, per lo più caratterizzato dalla Chiesa Madre della Madonna Assunta che sovrasta la grande piazza “Vittorio Emanuele” e che, edificata nel 1790 per volere del marchese Di Vincenzo Di Rudinì, è una delle più antiche costruzioni. Presenta una facciata a due ordini sovrapposti e due piccole torri campanarie con un portone bronzeo finemente realizzato dallo scultore Biasi e finanziato dalla comunità di emigrati pachinesi in Canada. All’interno, una cappella a destra dell’abside conserva i resti dei fondatori di Pachino, Vincenzo e Gaetano Starrabba. Esternamente lo scenario circostante è caratterizzato dalla  piazza Colonna che deve il suo nome alla splendida colonna egizia ritrovata nel mare di Marzamemi nel 1913.

Completata la visita al centro storico, non potevamo allontanarci dal paese del vino senza aver prima visitato la Casa vinicola “Rudinì”, centro di eccellenza nel campo della rinnovata enologia siciliana. Attuale titolare dell’azienda è il sig. Saro Di Pietro che, avendola acquistata nel 1972  dal conte Corrado Moncada di Paternò, gradualmente e con grande perizia diede vita ad una cantina moderna grazie ad una lavorazione raffinata che  puntava sia  ai miglioramenti del vigneto che ai progressi in cantina tramite la pressatura soffice delle uve e l’introduzione di tecniche di vinificazione termocondizionata a bassa temperatura per le uve bianche o a lenta macerazione sulle bucce per le nere. Oggi i risultati raggiunti sono  eccellenti, tanto che alcuni dei vini prodotti, tra cui il rinomato Nero d’Avola, sono stati premiati al “ Vinitaly”.

  Il notevole interesse suscitato dai luoghi visitati e la consapevolezza che altri bei siti avrebbero meritato la nostra attenzione se solo avessimo avuto più tempo a disposizione, hanno caratterizzato la conclusione della seconda mattinata in cui, ormai vicini al momento della partenza, lasciavamo la zona di Pachino e ci apprestavamo a raggiungere Portopalo, punta estrema della costa siciliana e ultima tappa del nostro viaggio.

E così là dove i mari Ionio e  Mediterraneo si incontrano, evidenziando la diversa direzione delle loro correnti,  dove in un tripudio di sfumature il blu marino si congiunge con l’azzurro del cielo, si staglia ben nitida, l’isola di Capo Passero, il cui aspetto ancora selvatico, completa il quadro di una natura  incontaminata.   Un tempo l’isolotto era una penisola unita alla terraferma da un istmo sabbioso ormai sparito a causa dell’azione erosiva del mare. Oggi, con la sua incolta vegetazione, appare agli occhi del turista, in tutta la sua bellezza naturale.  Caratteristica principale dell’isola disabitata, il Forte secentesco si erge maestoso sul punto più alto ed è l’unico segno della presenza dell’uomo. L’imponente costruzione, nata dall’esigenza di porre un argine alle scorrerie turco-arabesche che infestavano le coste, iniziata dal vicerè di Sicilia Marcantonio Colonna nel 1583 e terminata tra il 1599 e il 1635 sotto il regno di Filippo III re di Spagna, ha conosciuto, nel corso dei secoli varie vicende. Nel 1700 venne utilizzata come prigione e luogo di confino per i soldati che avevano avuto problemi con la giustizia  ed ebbe un’importante funzione militare fino al 1800.  Recentemente, il Forte, la cui importanza storica e strategica è ben evidente, è stato restaurato grazie ai finanziamenti europei.

 Di fronte all’isola, il paese di Portopalo, ultimo Comune della costa ionica, si affaccia sul mare con le sue rive sabbiose che, alternandosi alle scogliere offrono uno spettacolo unico. E proprio su queste coste frastagliate,  quasi a voler guardare l’antica fortezza spagnola,  è stato costruito a picco sul mare, il Castello Tafuri, la cui storia abbastanza recente, inizia nel 1933 quando il marchese Bruno di Belmonte, affascinato dalla bellezza dei luoghi, volle costruire un edificio maestoso che contribuisse a valorizzare le meraviglie naturali del territorio. L’opera, progettata dall’architetto Crotti di Firenze in stile Liberty, fu completata nel 1935 e nel corso degli anni ha subìto alterne vicende. Oggi, grazie agli interventi di riqualificazione partiti nel 2015, si è voluto ridare splendore a questa struttura magnifica che è stata trasformata in un luxury Resort sul mare. Così,  nel panorama d’insieme,  dove le bellezze naturali fanno da cornice ai due castelli che  si fronteggiano separati solo dal mare, lo spettacolo assume i toni fiabeschi e l’atmosfera fantastica  di un mondo quasi irreale. Non a caso questo scenario è stato prescelto come set di film importati e di alcune puntate della fiction “Il commissario Montalbano”.

Abbagliati dai colori rosseggianti del tramonto, estasiati dalla bellezza dei luoghi, con ancora vive le emozioni vissute durante i due giorni di visita, abbiamo intrapreso la via del ritorno  non prima di aver salutato affettuosamente i nostri amici, Paolo Dipietro e Guido Rabito, che, con la loro accoglienza e disponibilità hanno reso il nostro viaggio un’esperienza indimenticabile. A loro e al nostro Presidente, prof. Miceli vadano i più sentiti ringraziamenti.

Antonella Mauceri

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