Scrivere per Guarire

Quando la carta e la penna diventano medicina

I ricercatori dell’Università di Aukland in Nuova Zelanda hanno dimostrato che la trascrizione degli stati d’animo negativi può letteralmente favorire la cicatrizzazione delle lesioni cutanee. Hanno provato che mettere nero su bianco le proprie emozioni favorisce e accelera la guarigione delle ferite non solo in senso metaforico e aiuta a combattere lo stress. Gli esperimenti sono stati condotti per diverse patologie ma in particolare sono state considerate le ferite da taglio e come riferito dal “Psychosomatic Medicine”, coloro che avevano messo per iscritto le loro emozioni sono guariti in metà tempo.

Altri risultati recenti hanno confermato che un gruppo di malati sieropositivi ha visto diminuire drasticamente la propria carica virale in seguito ad alcune sessioni di scrittura espressiva. In una società dove l’utilizzo della scrittura sembra essere antico, quasi obsoleto, questa notizia non può che riempire di gioia noi grafologi, sostenitori da sempre dell’importanza della manoscrittura quale espressione peculiare di ogni individuo. La scrittura a mano sviluppa l’intelletto e l’elasticità mentale mentre l’uso della tastiera è certamente più veloce ma non dovrebbe prescindere dall’utilizzo della penna. Le aree del cervello coinvolte sono differenti, la grafia impegna la memoria procedurale, quella che rimane per tutta la vita, che produce e promuove l’esperienza. Non possiamo poi non sottolineare che con il computer gli errori vengono automaticamente corretti limitando la consapevolezza delle imprecisioni.

La scrittura ha un alto potere comunicativo essendo uno dei metodi più efficaci e sicuri per scambiarsi le informazioni. Essa, da un punto di vista psicologico, da all’uomo l’illusione benefica di poter lasciare un segno e far sì che i propri pensieri sopravvivano. L’azione di scrivere alimenta la “coscienza” e intensifica il senso dell’io e al contempo lancia ponti verso l’altro facilitando la relazione con il prossimo e con il mondo.

Pensiamo ai sensi coinvolti nell’atto di scrivere. Sono in gioco ben quattro sensi su cinque. La vista per rendere comprensibile e gradevole la grafia, il tatto (la mano) che nel tracciare le lettere percepisce la grana della carta e la consistenza della penna. L’olfatto che odora il profumo dell’inchiostro e della pagina e l’udito che sente il suono prodotto dallo scorrere dello strumento scrittorio sulla superficie. Tutti i sensi coinvolti tranne il gusto.

Ogni volta che tracciamo un appunto ad un amico o sottoscriviamo formalmente un documento esprimiamo una rappresentazione grafica fatta di caratteristiche particolari che ci raffigurano e ci distinguono in modo inconfondibile da qualunque altra persona. Esiste una relazione univoca tra singola persona e rispettiva scrittura dimostrato e confermato dal fatto per esempio dall’importanza identificativa della nostra firma quale marchio e simbolo di autenticità di un determinato documento.

Quando impariamo a scrivere, gli sforzi sono concentrati alla riproduzione del segno, del modello calligrafico. Quando poi nel tempo si raggiungono sicurezza e scioltezza il nostro interesse si sposta al contenuto trasformando l’atto di scrivere in un movimento spontaneo fuori dal controllo cosciente e volontario. Il gesto grafico diventa principalmente a quel punto un prodotto dell’inconscio personale disvelandone gli aspetti più nascosti.

Possiamo quindi capire come la scrittura possa divenire curativa poichè è in grado di far emergere attraverso il racconto esperienze individuali interiori in modo non invasivo quasi come una sorta di tecnica autoterapeutica estremamente efficace e, aspetto da non trascurare, economicamente vantaggiosa.

Per concludere riporto una frase tratta da un testo di Rosa Maraucci (psicologa) che riferisce di un racconto di un detenuto:

“i ricordi sono come un libro, se restano chiusi sono pesanti: se li sfogli (noi aggiungiamo: se li scrivi) scopri che sono leggeri”