Nel 1548 a Messina nasce il “Primum ac Prototypum Collegium Societatis Jesu” inizio dell’Università cittadina
Nel 1548 a Messina nasce il “Primum ac Prototypum Collegium Societatis Jesu” inizio dell’Università cittadina
Premessa
Con questo breve saggio si intende affrontare, per gli aspetti essenziali, gli avvenimenti relativi alla nascita dello Studium di Messina e alla presenza in città della Compagnia di Gesù dal 1548 che ne determinò i presupposti con il suo Collegium prototypum. Si intende così consentire al lettore interessato all’argomento di acquisire elementi d’informazione su quegli avvenimenti gloriosi per la città di allora, perché possano essergli di stimolo per ulteriori conoscenze sul rapporto culturale e istituzionale istauratosi in quegl’anni tra Messina e l’Ordine dei gesuiti e lungo quella complessa collaborazione, seguire la nascita dell’Università.
Anno 1548, la città accoglie i Gesuiti
Placido Samperi s.j. nella sua “Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria protettrice di Messina” pubblicata nel 1644, descrive così, dopo un secolo da quegli accadimenti la cui memoria era ancora viva tra i messinesi, l’arrivo a Messina dei religiosi della giovane e già famosa Compagnia di Gesù:
“… E avendo (i padri Gesuiti) dal S. Padre (Ignazio Di Loyola) e dal Sommo Pontefice Paolo III, a cui erano andati a baciare i santi piedi, ricevuta benedizione, si partirono per Messina, ove con allegrezza di tutta la città a gli 8 di aprile dell’anno 1548 arrivarono, quattro dei quali erano sacerdoti, P. Girolamo Natale spagnuolo, P.Andrea Frusio francese, P. Pietro Canisio tedesco, P. Cornelio Wifavco fiamingo, gli altri erano chierici Benedetto Palmio parmeggiano, Isidoro Sbrando romano, Annibale Cadreto savoiardo, Raffaele Riera barcellonese, Martino Di Mare francese, Gio. Battista Possevino bresciano”.
I padri Gesuiti arrivarono via mare a Messina e per oltre duecento anni vi rimasero, prima di essere espulsi dall’intera Sicilia e dal Regno di Napoli nel 1767 “…Il re si è reso insensibile alle preghiere stateli fatti di poter li gesuiti portare l’abito della compagnia e potere fermarsi in questi regni, e giorni addietro a tal fine li gesuiti in Messina lo supplicarono, ma ciò in darno, perché sua maestà assolutamente volle che tutti sortissero dalli suoi regni, anzi che nemmeno li vecchi e li ammalati si potessero trattenere sino al mese di maggio.” (G. Arenaprimo “Diario messinese”). Essi stabilirono con la città una sinergia che tra accordi e scontri, luci e ombre, contribuì certamente a elevare il livello culturale e sociale della comunità che li aveva accolti. Torniamo ora, grazie alle notizie di cui siamo in possesso e un po’ immaginando quanto avvenne in città, agli inizi di questa storia, al loro arrivo e all’attesa curiosa dei cittadini nei giorni nei quali ancora tutto sembrava dovesse procedere serenamente senza ostacoli nell’interesse generale come da tutti auspicato. Dopo i contatti epistolari intercorsi tra Giurazia messinese e padre Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, dieci religiosi del suo Ordine, quattro sacerdoti e sei chierici, tutti di altissimo livello culturale e spirituale, basti ricordare che tra essi vi era Pietro Canisio poi dottore della Chiesa, e Jeronimo Nadal, futuro vicario generale dell’Ordine che li guidava, partirono da Roma per raggiungere Messina. Dai nomi dei religiosi inviati si capisce quanta importanza il Loyola desse a questa nuova opera della Compagnia; in una sua lettera del 18 marzo 1548 al suo Provinciale di Sicilia egli così si esprime: “…si è tagliato dal miglior panno che si aveva e dico questo per non dilungarmi…se si considera la scorta di lettori che suole avere Parigi, era fortunatissima la Sicilia dove andavano tali persone non solo buone ma anche colte” Ignazio di Loyola, dunque, riteneva un’opportunità da non perdere per il suo giovane Ordine insediarsi a Messina importante metropoli mediterranea, culturalmente evoluta e con intensi traffici commerciali con l’Oriente.
Dopo un viaggio che i mezzi e le strade del tempo resero sicuramente difficile e faticoso, i religiosi arrivarono in porto l’8 aprile del 1548. Furono ricevuti con onori adeguati alla loro importanza e il Senato messinese consegnò loro 500 scudi e per sede la chiesa di S. Nicolò nella Contrada dei Gentiluomini,
Fig.2 – Pianta di Messina nel XVI secolo (1 Palazzo Reale; 2 Seminario dei chierici; 3 Chiesa di S. Nicolò dei Gentilmeni lungo la Strada Maestra; 4 Cattedrale; 5 Contrada Tirone)
che si trovava a poca distanza dalla cattedrale, e residenze attigue alla stessa (nota 1). Il Samperi, sempre nella sua “Iconologia della gloriosa Vergine Maria madre di Dio protettrice di Messina”, magnifica l’avvenimento e afferma che dopo l’ascolto delle dotte prolusioni del padre Nadal, del padre Canisio e di altri religiosi, il viceré de Vega, per l’occasione presente a Messina, rivolgendosi allo stesso P. Nadal, espresse così il suo compiacimento: “Dio buono diffe, quali Heroi sublimi, & ammirabili c’hauete condotto”.
Finiti i festeggiamenti, in attesa che si completassero le necessarie opere di ristrutturazione dei locali destinati ad abitazione per adattarli alle esigenze dei nuovi ospiti, le fonti ci dicono che i dieci gesuiti furono ospitati in Arcivescovado o più probabilmente nei locali del Seminario, che allora si trovava nei pressi del Palazzo reale sul porto. Nei suoi locali nei giorni successivi ebbero inizio lezioni di teologia, filosofia, retorica, lingua ebraica, greca e latina. Padre Nadal svolgeva in città pure opera di catechesi del popolo. Dice sempre il Samperi a pag 203 della sua Iconologia:”E volendo il Senato, che tofto alle lettioni fi deffe principio, à 24 di Aprile non vi effendo luogo in S.Nicolò, dove fi ftava mettendo all’ordine l’habitatione, nelle ftanze dell’Arciuefcouado, con molta frequenza di Scolari cominciarono di diuerfe claffi a leggere cinque lettioni; efponendo anche P. Girolamo Natale nelle Fefte dopo il Vefpro ad una gran moltitudine di gente nel Duomo l’epiftola di San Paolo ai Romani”.
I fatti che preludono alla nascita dello Studium messinese.
Messina fu così uno dei primissimi luoghi in cui si insediò la Compagnia di Gesù, solo sette anni dopo l’elezione del Loyola primo suo Preposito. Per capire i motivi della scelta di Messina- per noi oggi difficilmente comprensibili- si deve ricordare che nei primi decenni del XVI secolo la città dello Stretto viveva un periodo particolarmente felice della sua storia bimillenaria per un significativo risveglio intellettuale in atto e potendo disporre di un diffuso buon livello di benessere economico e sviluppo sociale che le consentivano di essere annoverata tra le principali città europee. La sua particolare posizione geografica sulla rotta che univa i due principali bacini del Mediterraneo e collegava l’Europa all’Oriente musulmano la favoriva come punto di approdo intermedio per le navi mercantili che la percorrevano. Con Palermo condivideva il ruolo di principale città del vicereame siciliano di Spagna, la sua economia non era stata ancora penalizzata dai crescenti interessi economici delle nazioni europee verso il Nuovo Mondo e intense erano le sue relazioni commerciali anche con il potente e ricco Impero Ottomano di Costantinopoli
La Sicilia, per la sua importanza geopolitica e per la facilità per lo spagnolo Ignazio di Loyola, in ottimi rapporti con il papa, di poter avere accoglienza e tutte le necessarie autorizzazioni e sovvenzioni dal governo di Madrid per avviarvi strutture educative, formative e di apostolato, fu dunque scelta tra le sue prime mete già nel 1546 con l’invio del padre Giacomo Lostio ad Agrigento per iniziali attività di evangelizzazione e predicazione e per stabilire contatti con i vescovi delle principali diocesi.
Le fonti non ci chiariscono con certezza se la proposta di attivare un collegio gesuitico a Messina sia stata avanzata dal Senato cittadino al viceré Don Giovanni de Vega, già ambasciatore di Carlo V in Sicilia, appena giunto a Palermo sul finire del 1547 perché ne informasse autorevolmente il suo amico Ignazio di Loyola, o dal Loyola al Senato, per mezzo del gesuita Jeronimo Domenech che si trovava a Palermo con la carica di consigliere spirituale della famiglia del viceré de Vega. Pare che Ignazio stesso in quest’ occasione, abbia definito Messina, nuova destinazione siciliana dei suoi padri: “scala troppo opportuna a navigar ver l’Oriente e a passar in qualunque altra parte del mondo”. Probabilmente egli non aveva ancora abbandonato il suo desiderio originario di spendersi in opere di apostolato in Oriente e dunque riteneva Messina un luogo favorevole per fondarvi non solo un collegio per studi inferiori, ma pure una prestigiosa università gesuitica che potesse irradiare il vangelo e la cultura cristiana in Sicilia, nel meridione d’Italia e pure nel mondo musulmano. Il viceré, attento agli aspetti politici del governo delle città dell’isola, è probabile che vedesse con favore la nascita a Messina di un collegio-studio affidato ai padri spagnoli come utile strumento per il controllo culturale, loro tramite, della città il cui ceto dirigente manifestava una perdurante insofferenza al controllo politico del governo centrale di Madrid. Il Samperi propende per la prima ipotesi e, infatti, nel suo testo sopra citato così riporta: “Tanto che nell’anno 1547 gli illustrissimi senatori D.Thomaso Marullo, Miuccio Marullo, Gio Luigi Campagna, Placido Casalaina, D. Bernardo La Rocca e Andrea Cottone, avendo per pubblico consiglio dei trentasei consulenti determinato di chiamare i Padri della Compagnia, lo fecero per mezzo di D. Giovan De Vega Vicerè di Sicilia, come quello che conosceva S. Ignatio in Roma…”. Indipendentemente dalla primogenitura dell’iniziativa, il progetto fu da tutti, Governo spagnolo, Ignazio di Loyola e città, condiviso e accolto con favore perché era coerente e funzionale ai fini che ciascuno di essi intendeva realizzare secondo i propri scopi e interessi. Così fu subito avviata la procedura formale per l’apertura del collegio con l’invio da parte del Senato messinese al padre Loyola di una prima richiesta scritta per l’assegnazione di suoi religiosi alla città. Inizia così tra città e padre Ignazio una corrispondenza per concordarne gli aspetti organizzativi. Nel dicembre 1547 il Senato Messinese scrive a Ignazio di Loyola: “Avendo qui una veridica informazione che nella Congregazione dei religiosi del Nome di Gesù, che è a carico di V.R. ci sono persone dottissime e religiosissime, le quali con la dottrina e con le opere evangeliche sono di assai utiltà per la repubblica cristiana, questa nobile città ha desiderato in grande maniera di avere alcune persone della suddetta congregazione che insegnino, predichino e portino il frutto che soglino portare dovunque abitino…con licenza dell’illustrissimo Sig.Juan de Vega, che con la sua molta religione, prudenza ed eccellente virtù ha fatto sapere il caso a V.R. alla quale chiediamo per favore di voler mandare cinque maestri in teologia, altri in casi di coscienza, altri in arti, altri in retorica e grammatica, e altri cinque religiosi della stessa congregazione, che studino e si dedichino a opere e esercizi cristiani”.
La lettera termina assicurando agli ospiti da parte della città accoglienza e tutto il necessario per una loro decorosa e serena permanenza. Il 19 dicembre dello stesso anno Padre Ignazio risponde:
“Molto magnifici Signori. L’amore eterno di Gesù Cristo Dio e N.S. visiti sempre le SS.VV. e tutta la loro cattolica città con favore e grazie speciali. Amen…Per questo e per la tanto pia e cristiana istanza delle SS.VV. per la molta devozione e il pio desiderio da loro manifestati di aumentare la luce di dottrina e di virtù in codesta loro nobile città, la carità ci spinge a voler aiutare (con quello che le nostre poche forze comportano) le loro sante intenzioni…”. Loyola continua la sua lettera promettendo ai senatori di inviare i religiosi richiesti e consiglia di fondare un collegio che sia stabile nel tempo e di concordare tutti gli aspetti operativi con il padre Domenech persona con esperienza che aveva già aperto un collegio a Gandia. Si comincia così a progettare la nascita di un collegio per allievi non destinati al sacerdozio di comune accordo tra Giurazia messinese e Compagnia di Gesù con il benestare del viceré. E’ opportuno evidenziare in questa operazione l’apertura intellettuale mostrata dei messinesi di allora che, nonostante avessero in città la presenza dei più prestigiosi ordini religiosi, soprattutto i Domenicani, ebbero il coraggio di prendere in considerazione la possibilità di chiamare in città un nuovo Ordine, riconosciuto dalla Chiesa solo pochissimi anni prima, che, peraltro, era osservato con sospetto per le sue specificità innovative, soprattutto negli ambiti teologico e pedagogico, da gran parte del mondo ecclesiastico tradizionale e giudicato in campo didattico eccessivamente e inopportunamente interessato agli studi umanistici e alle scienze. Nel 1548 furono fatti i primi indispensabili passi per ottenere da
chi ne aveva l’autorità, le necessarie autorizzazioni per l’avvio del progetto. Il viceré Juan de Vega per il governo spagnolo, il Senato messinese per la città e Ignazio di Loyola per la Compagnia, chiesero e ottennero dal Papa Paolo III Farnese il benestare di sua competenza.
Il Papa nello stesso 1548 emanò le Bolle “Copiosus in misericordia Dominus” del 19 novembre e la “Summi sacerdotis ministerii” del 24 dicembre che sancivano rispettivamente la nascita dello Studium, al quale venivano concessi tutti i privilegi di cui godevano le grandi università europee come la Sorbona e del Collegio. Così nella primavera del 1548 prese vita a Messina il Primum ac Prototypum Collegium Societatis Jesu, prima istituzione educativa gesuitica rivolta ad alunni laici nel mondo e modello originale da imitare da tutte le altre che sarebbero nate.
Nei primissimi tempi in città tutto procede nel migliore dei modi, entrambe le parti (gesuiti e città) si occupano con solerzia del collegio e condividono l’idea che in breve tempo esso possa essere arricchito e completato con l’introduzione di studi superiori come concesso dalle Bolle papali.
I senatori, probabilmente, nel momento della richiesta delle autorizzazioni al Papa erano consapevoli che collegio e successiva università non sarebbero stati affidati dalla Santa Sede alla loro gestione ma ovviamente ai padri Gesuiti, in ottimi rapporti con Paolo III, per i fini politici e di apostolato della Chiesa romana impegnata a rispondere in Europa alla Riforma protestante anche con centri universitari culturalmente rinnovati. Il Senato messinese, forse, con mercantile intelligenza, sperava di poter sostituire nel tempo i Gesuiti nella direzione dello Studium una volta da loro avviato. Forse si ragionava pure di poter successivamente condizionare le scelte dei religiosi, utilizzando l’arma economica del mantenimento della struttura e degli stessi padri che era a carico del bilancio comunale.
Nulla però ci impedisce di ipotizzare che i Giurati messinesi semplicemente non avessero previsto che con le due Bolle il Papa avrebbe interamente affidato ai padri Gesuiti la direzione sia del collegio sia dell’università, escludendone la città, con il conseguente cumulo delle due cariche di rettore e inoltre la possibilità in esclusiva di scegliere le discipline da insegnarvi e la individuazione dei lettori. Come poi nei fatti avvenne. Le decisioni prese a Roma non lasciarono nessuno spazio operativo nelle possibilità dei senatori. Un altro elemento condizionò il normale processo di nascita dell’Università. Dalle lettere del Padre Domenech a Ignazio di Loyola sembra chiaro che città e Compagnia non pensarono di richiedere due distinte istituzioni: collegio e studium, realtà che avrebbe facilitato la divisione dei compiti, ma un collegio che si trasformasse e si completasse nel tempo anche in una università.
Fu proprio questo equivoco di fondo e l’assegnazione della direzione degli studi superiori ai Gesuiti, il vizio d’origine che nel tempo verrà in evidenza creando non pochi contrasti tra le parti e anni di ritardo nella realizzazione dell’università.
La città provò da subito, ma inutilmente, a chiedere al Papa di modificare alcune parti della bolla “Copiosus in misericordia Dominus” per volgerla a favore di una possibile accoglienza di sue istanze.
Per il Loyola, l’Università gesuitica, come coerente prosecuzione del collegio messinese, doveva in ambito didattico e nello spirito dei tempi nuovi, restare saldamente fondata su studi filosofici e teologici con innovativa apertura culturale verso le scienze soprattutto alla matematica. La municipalità nutriva invece ben altri progetti. I Giurati non avevano nulla da eccepire sulle incontestabili doti culturali dei padri gesuiti, ma volevano che l’università non divenisse una realizzazione culturale e didattica esclusiva della Compagnia di Gesù, ma che rispondesse in primo luogo alle esigenze politiche e sociali della città. I messinesi che mandavano in continente i propri figli per conseguire i “gradi universitari”, erano meno interessati agli aspetti didattici e metodologici formali e dunque se l’università dovesse adottare il metodo di studio tipo “università collegiata” come in Spagna cui propendevano i Gesuiti, o quello praticato in Italia tipo Padova, tuttavia da essi preferito. I messinesi volevano molto pragmaticamente che le materie da attivarsi fossero funzionali all’economia della città che aveva necessità di formare una classe dirigente culturalmente e professionalmente preparata soprattutto negli ambiti giuridico e medico.
Inizia la sua attività il “Primum ac prototypum collegium Societatis Iesu”
Il Collegio, cioè la prima parte del progetto, di più facile realizzazione che impartiva l’istruzione elementare e media fu subito avviato e procedette con accordo reciproco senza ostacoli particolari fin dal 1548, impartendo insegnamenti inferiori e inoltre filosofia e teologia. In quell’anno 1548, nel fervore di quanto accadeva in città con la presenza dei padri stranieri e con l’apertura della nuova prestigiosa e tanto attesa scuola, si assistette pure ad una grande novità, forse importata dai padri da Parigi: la notizia dell’inizio delle lezioni dal primo settembre fu data non dal consueto banditore, ma, nella meraviglia generale, con un manifesto pubblicitario che informava pure sulle classi attivate, le materie, i programmi e gli obiettivi didattici della scuola.
Negli anni successivi la città e la Compagnia continuarono, ciascuna secondo le proprie finalità e intendimenti, a programmare l’avvio di un proprio Studio. Con l’appoggio del viceré i senatori provarono a stabilire con la Compagnia nuovi accordi per una collaborazione nella gestione degli studi superiori che furono, in attesa di ratifica, ugualmente avviati separandoli in due blocchi dal 1550 con due distinti rettori, uno a conduzione dei Gesuiti: Filosofia, Teologia, e arti e l’altro della Giurazia: Medicina, Legge e Diritto canonico. Il Loyola che non intendeva lasciare ad altri la parte più prestigiosa della sua importante scuola messinese e per non essere condizionato da parte della città, si oppose alla formalizzazione dell’accordo accontentandosi della direzione del solo collegio inferiore con l’aggiunta di retorica, lingue e matematica. Mentre si ragionava e si discuteva sugli aspetti organizzativi e sulle decisioni da prendere in ambito didattico, sappiamo che la Chiesa di S. Nicolò dei Gentiluomini o Gentilmeni e le case confinanti acquistate dalla Giurazia o forse più realisticamente espropriate, venivano messe a disposizione dei religiosi del Loyola affinché già dal 1548 si potessero iniziare le lezioni. Nel 1550 i primi dodici giovani novizi desiderosi di entrare nella Compagnia furono alloggiati in altra casa acquistata pure nelle vicinanze della Chiesa di S. Nicolò.
I padri dopo essere stati ospitati in Arcivescovado per breve periodo, ultimati i lavori di restauro necessari, si trasferirono nel dicembre del 1549 nei locali attigui alla chiesa di S. Nicolò prendendo formale possesso di tutto il complesso edilizio, compresa la chiesa. Deve essere subito rilevato che la scelta di S. Nicolò dei Gentiluomini da parte dei Gesuiti come loro primo insediamento in città non fu casuale ma obbediva a precisi criteri contenuti nelle loro regole che stabilivano per la loro missione che i luoghi di residenza fossero in prossimità della Chiesa madre del luogo o lungo le principali vie cittadine e nei percorsi processionali. Proprio in questa logica a Messina i religiosi di Ignazio scelsero S. Nicolò dei Gentiluomini, un complesso ecclesiastico che si trovava sulla strada Maestra(Fig.2) la principale della città, in pieno centro a pochi passi dalla Cattedrale (Fig.2). Avviato il collegio con successo di iscrizioni di allievi, già nei primi anni successivi si cominciava a ritenere indispensabile, per l’incremento costante del numero degli alunni frequentanti, individuare nuovi locali e pure la necessità di una chiesa più grande per contenere il popolo che numeroso vi accorreva nelle funzioni religiose per ascoltare i sermoni dei nuovi padri gesuiti così diversi dai religiosi presenti in città. In quei primi tempi i locali attigui alla chiesa servivano sia per le lezioni agli studenti esterni, sia per ospitare i novizi che chiedevano di potersi proporre come futuri gesuiti, e pure come residenza per i religiosi che gestivano tutte gli impegni che l’Ordine aveva assunto. Il primo insediamento in città della Compagnia però non corrispondeva ancora alla volontà del suo fondatore che riteneva necessarie diverse ubicazioni per la residenza dei padri e dei fratelli gesuiti e i luoghi dove si svolgevano le loro tante attività educative, liturgiche e di apostolato: un collegio per gli allievi esterni, una casa per la formazione dei novizi, una residenza per i religiosi.
Dopo la morte del Loyola che avvenne nel 1556, si riprende a discutere tra Compagnia e città con maggiore impegno e insistenza sulle sorti dello Studium che ancora non si riusciva a organizzare in modo organico e funzionale. I Gesuiti in quegli anni decidono di aprire una loro università con l’insegnamento di “arti”, filosofia e teologia destinata ai loro studenti interni per poter completare gli studi superiori e dare i voti religiosi. Il Senato riesce, allo stesso tempo, ad avviare un suo Studio indipendente sganciato dai Gesuiti con cui però si accordano concedendo loro alcune cattedre al suo interno. La città finalmente dopo tanti anni può così gestire una sua università e può liberamente scegliere il piano di studi e i lettori, ma le tante fatiche sono parzialmente vanificate dalla perdurante impossibilità di rilasciare i titoli accademici ai laureandi per l’incessante opposizione di Catania che, per un preteso privilegio, si considerava unica sede universitaria dell’intera Sicilia perché fondata già nel 1444 con discipline giuridiche, filosofiche e mediche. Il Senato, alle frequenti diatribe con i Gesuiti aggiungeva così anche le liti giudiziarie con Catania. Solo nel 1597, vinta la causa con la città etnea, peraltro a seguito di notevoli esborsi di denaro, e a seguito di un reale positivo compromesso con la Compagnia, fu possibile all’università cittadina svolgere finalmente la sua funzione a favore dei giovani messinesi e siciliani con la possibilità, finalmente, di riconoscere al termine dei corsi gli indispensabili titoli accademici validi anche per le altre università italiane.
Da quell’anno inizia un periodo proficuo di soddisfazioni per l’elite cittadina con il suo tanto desiderato Almo Studio messinese, periodo felice che sarà violentemente interrotto dal governo centrale spagnolo nel 1678. Le pretese autonomistiche del ceto senatorio messinese che avevano portato la città alla rivolta dal 1674, illudendosi dell’appoggio del sovrano francese Luigi XIV, furono definitivamente mortificate da Madrid che, rientrata militarmente in possesso della città, la dichiarava: “pel delitto di fellonia e lesa Maestà […] morta civilmente ed incapace di qualunque genere di onore” e stabiliva che fosse spogliata di tutti i suoi beni e privilegi. Fu attaccata la stessa coscienza cittadina cancellandone la memoria storica con azioni fortemente simboliche, perfino con la rottura della campana della Torre dell’Archivio che era servita a convocare “la furiosa pertinacia de estos pueblos a su abusiva observancia”,, Fu demolito il “Palacio de la Ciudad“, sostituito il Senato con un Magistrato nominato dal viceré, soppressa la Corte Stradigoziale, chiusa la Zecca e il Consolato del Mare e per evitare una possibile rinascita della coscienza civica della città anche l’Università e le Accademie-Progetto che si avverò puntualmente. L’Università riprenderà la sua attività solo nel 1838 quando Ferdinando II di Borbone eleverà l’Accademia Carolina, che in tutti quegli anni di chiusura era rimasta come principale baluardo al degrado culturale della città, al rango di Università
Nota 1- Gli autori che con maggiore attenzione si sono interessati al primo insediamento della Compagnia di Gesù a Messina, concordano nell’affermare che ai padri fu affidata una chiesa nella Contrada dei Gentiluomini. Fin dal 1644 P. Samperi nella sua Iconologia della gloriosa Vergine madre di Dio Maria protettrice di Messina, riporta che la chiesa era: “di S. Nicolò, nomata de Gentilhuomini”. Si evidenzia che nella contrada dei Gentiluomini vi erano da oltre un secolo un vecchio ospedale, ormai non più funzionante e in precarie condizioni strutturali, con annessa chiesa di S. Maria dell’Accomandata (o Accomodata) e la chiesa di S. Cita. La prima chiesa e i locali attigui erano stati un secolo prima l’iniziale rifugio di S. Eustochia Esmeralda Calafato e delle sue compagne che poi trovarono definitiva sede nel Monastero di Montevergine. Per alcuni autori (Catalioto) –se ne condivide la tesi- la prima sede dei Gesuiti fu proprio la chiesa di S. Maria dell’Accomandata che fu tolta a favore dei nuovi arrivati, alla Confraternita dei Gentiluomini che da essi aveva preso il nuovo nome di S. Nicolò dei Gentiluomini. La chiesa, ciò che restava del vecchio ospedale e la vicina S. Cita furono poi abbattuti nel 1573 per costruire per volontà dei Gesuiti la nuova grande chiesa di S. Nicolò.
Appendice 1
La Compagnia di Gesù (notizie essenziali)
È noto che in quell’inizio del XVI secolo la Riforma protestante (1517) che rapidamente si affermava scosse la realtà religiosa e inevitabilmente anche quella sociale dell’Europa fino al suo profondo sud Il nuovo paradigma cristiano proveniente dalla Germania mise chiaramente in evidenza il diffuso analfabetismo religioso del clero per non dire del popolo e la decadenza generale dei costumi fattori che sicuramente non ne favorirono il contrasto a livello popolare. La Chiesa romana, investita dalle nuove e per allora rivoluzionarie idee che mettevano in discussione pure il potere romano e del clero, cercò con lungimiranza di correre ai ripari per porvi un argine. Si capì che era urgente e fondamentale agire sulla cultura popolare e innanzitutto sulla formazione cristiana delle nuove generazioni e dei sacerdoti.
. Al rilancio di una rinnovata attenzione educativa e culturale illuminata dai principi cristiani si dedicarono numerose nuove congregazioni e ordini religiosi, alcuni nati in quegli anni esclusivamente per il recupero umano, sociale e religioso dei minori. Tra le principali istituzioni si ricordano: i Teatini nel 1524, i Somaschi 1528 i Barnabiti 1530, le suore Orsoline 1535, le Scuole Pie 1597, i Fratelli delle Scuole Cristiane. Soprattutto con la nascita della Compagnia di Gesù la Chiesa cattolica raggiunse nel campo educativo un imprevedibile formidabile successo; i collegi guidati dai padri gesuiti si diffusero in gran numero nell’intera Europa. In essi si elaboravano una nuova didattica e una innovativa metodologia dell’apprendimento con classi composte da alunni di pari livello culturale, preventiva definizione dei programmi di studio, suddivisione delle materie in anni di corso, introduzione di materie scientifiche, rilevante importanza della matematica e altro. Metodo pedagogico-didattico sinteticamente definito da allora “Ratio studiorum”
L’inizio della Compagnia di Gesù si fa risalire al 15 agosto del 1534 giorno delle promesse solenni che reciprocamente si scambiarono sette studenti della Sorbona di Parigi (Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Alfonso Salmeron, Diego Laìnez, Nicola Bobadilla, Piere Favre, Simon Rodriques) nella chiesetta di Montmartre guidati dallo spagnolo Ignazio di Loyola (1491-1556). Essi credevano e fecero voto di realizzare la propria sequela di Cristo recandosi in Terrasanta come missionari o ovunque decidesse il Papa, ma, per contingenti vicissitudini, la realtà impose loro altre mete e diversi obiettivi. Papa Paolo III e i suoi teologi romani capirono che alla Chiesa servivano nuovi giovani religiosi di profonda cultura, teologicamente preparati secondo la dottrina del tempo e assolutamente fedeli alla volontà del sommo pontefice, per iniziare un’opera di contrasto alle idee luterane e per un rinnovamento spirituale dei fedeli. Ignazio di Loyola e i suoi confratelli corrispondevano a quanto si desiderava. Paolo III con le Bolle Regimini militantis ecclesiae e nel 1543 con l’Iniuctum nobis approvava la Compagnia che così si caratterizza per la difesa della fede soprattutto attraverso la preparazione teologica, filosofica e scientifica dei suoi membri, l’azione missionaria, l’educazione religiosa del clero, del popolo e dei giovani in particolare. Ignazio di Loyola che a Parigi aveva conseguito tutti i gradi accademici, è eletto dai suoi confratelli primo Preposito della Compagnia. Con questo mandato i Gesuiti partono da Roma per iniziare nel mondo cristiano una rinnovata evangelizzazione. L’attività missionaria inizia nel 1541 con l’invio di padre Francesco Saverio in Giappone e in India. Altri padri andranno in America del sud, in Africa e in America del nord e con Matteo Ricci in Cina. Nell’aprile del 1548 giungono a Messina.
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